LA PROTAGONISTA
A 102 anni cuce per le missioni
L’incredibile storia di nonna Ines: i suoi indumenti vengono spediti nel Terzo Mondo
Ha 102 anni, ma non li dimostra. Non solo: considerando l’età gode di buona salute e ha un’energia mentale e fisica da fare invidia a qualunque centenario.
Ines Giudici, nata il 16 agosto 1915, a guardarla e a sentirla parlare lascia stupefatti: cammina ancora sulle sue gambe, è lucida e, cosa più incredibile, lavora.
Sì, perché la sua attività giornaliera è confezionare vestiti per i poveri del Terzo Mondo e della Russia, luoghi dove operano i missionari caronnesi.
«Il mio elisir di lunga vita?
A parte mangiare ciò che voglio e tenere la mente allenata leggendo i giornali, mi piace stare davanti alla mia macchina per cucire».
Indica la sua vecchia Singer e, con gli occhi pieni d’orgoglio, confessa: «Quando cucio pantaloncini, calze e magliette, sono felice e non penso ai miei acciacchi».
Poi estrae da un orecchio l’apparecchio acustico: «Lo vede questo? Mi è costato 5.200 euro? Se non avessi avuto i miei famigliari, come avrei potuto comprarlo con la mia pensione da 690 euro al mese? Se non potessi più sentire, allora sì che starei male».
Ines si alza ogni giorno alle 9 («Non sono una mattiniera», confessa), fa colazione e si mette a cucire come faceva un tempo, quando rammendava calze e lavorava per i grandi calzifici che le commissionavano lavori: prepara biancheria intima e vestiti che vengono poi portati nei Paesi poveri.
La collaborazione col Gruppo missionario e la Caritas dura da parecchio tempo e non ha voluto rinunciarvi neppure adesso che ci vede meno e ha meno forze. Ricorda benissimo la storia della sua vita e, narrando alcuni episodi, tiene a dire che è una caronnese “doc”.
«Mio marito Vittorio è morto nel ‘49 - racconta -. Non aveva resistito agli stenti della guerra d’Africa: l’ha ucciso la malaria. Purtroppo sono sopravvissuta anche a mio figlio Romano, di 76 anni, morto due anni fa».
Ne ha passate tante, nonna Ines. Lavorava in una fabbrica di calze del Saronnese, per poi trasferirsi in una ditta di Milano.
«Raggiungevo a piedi la stazione e, arrivata a Milano, prendevo il tram e facevo altri due chilometri a piedi - rammenta -. Poi mi ammalai e cominciai a lavorare in proprio con mia figlia, che adesso si prende cura di me: confezionavamo calze e facevamo rammendi per i più importanti calzifici della zona. La prima macchina per cucire la comprai con le cambiali: 10 euro al mese. Da me venivano anche le ragazze che volevano diventare sarte: ancora adesso vengono a trovarmi ricordando quei bei tempi».
Ines è sempre stata una donna forte: guarì dalla tubercolosi, sottoponendosi a una sperimentazione con quella che all’epoca era chiamata la “pillola della Tbc”, e ha superato due interventi chirurgici.
«Per fortuna - sospira - altrimenti non avrei potuto godermi la ciurma dei miei nipoti e pronipoti».
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