IL SIMBOLISMO
A Palazzo Reale oltre 130 capolavori
«La Natura è un tempio ove viventi colonne lasciano talvolta uscire confuse parole; l’uomo vi passa attraverso foreste di simboli che lo osservano con sguardi a lui familiari». Parole che sgorgano da «Corrispondenze» nella raccolta di poesie «I fiori del Male» (1857) di Charles Baudelaire, il primo poeta «moderno» che ha influenzato, al tramonto dell’Ottocento, lo sbocciare della corrente simbolista delle arti (segnatamente in Francia e Belgio); tendenza nata come reazione al positivismo filosofico e all’imperante cultura materialista votata al progresso tecnologico. È dell’anno 1886 il manifesto della poesia simbolista, indirizzato anche alle altre forme d’arte, pubblicato su «Le Figaro» dal letterato Jean Moréas.
Di questa tendenza nell’arte visiva, Palazzo Reale a Milano intesse una mostra di grande respiro: «Il Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra». Oltre 130 opere, dipinti, grafica e poche sculture, offrono uno spaccato della corrente in area franco-belga, tedesca (fari il filosofo Friedrich Nietzsche e il musicista Richard Wagner teorizzatore dell’opera d’arte totale), e nella non meno importante area italiana, in cui si riconosce l’influenza di Gabriele D’Annunzio.
Non si può parlare di uno stile, perché ogni creativo usa un proprio linguaggio, una propria tecnica; non c’è la rappresentazione oggettiva della realtà (è il superamento dell’impressionismo): si deve parlare di un sentimento. Nella figurazione vi è un recupero delle immagini del mito, della morte, dell’amore erotico, del peccato, della sfera onirica (legata, per i letterati francesi, al delirio indotto dagli oppiacei e, per tutti, rivoluzionata dallo scritto di Sigmund Freud a inizi ‘900). È l’approdo a una dimensione più interiore che s’intreccia a un malessere esistenziale, al dualismo vita/morta. Non a caso l’incisione in bianco e nero è importante quanto la pittura perché permette di esprimere al massimo grado questo sentire (straordinarie le litografie di Odilon Redon e le acqueforti-acquetinte di Max Klinger).
Immagine simbolo della mostra il capolavoro del belga Fernand Khnopff, «Carezze (L’Arte)», del 1896, singolare reinterpretazione dell’Edipo re in cui un giovane dall’aspetto androgino si accosta soggiogato alla Sfinge seduttrice dagli occhi socchiusi e dal corpo di ghepardo dalla lunghissima coda. La tela è per la prima volta in Italia, prestito del Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique di Bruxelles, così come la conturbante testa di «Orfeo morto» di Jean Delville. Mentre dal museo di Hagen giunge la mistica tela «L’eletto» (sei angeli stilizzati in lievitazione in adorazione di un bimbo nudo inginocchiato davanti a un tralcio di vite avvizzito), opera di Ferdinand Hodler, il maggiore simbolista svizzero assieme ad Arnold Böcklin in mostra con «Il silenzio della foresta». Ma oltre a queste novità per il pubblico italiano, l’esposizione offre una visione esaustivo della tendenza nelle sue varie declinazioni.
IL PERCORSO ESPOSITIVO La visita della mostra, curata da Fernando Mazzocca e Claudia Zevi con Michel Draguet (catalogo 24 Ore Cultura), richiede un tempo piuttosto lungo. Sono in tutto 24 le stanze dedicate del piano nobile di Palazzo Reale per 18 sezioni tematiche. Il percorso, che apre nell’oscurità con il dolce volto femminile del «demoniaco» (Joseph Middeleer), porta negli spazi espositivi l’incubo e il sogno, la voluttà della morte, la luce e le tenebre, dove spicca il tenebroso nudo con gli occhi di ghiaccio del «Lucifero» di Franz von Stuck, che più avanti ha il celebre «Peccato», corpo di donna avvolto nelle spire di un serpente.
E dopo «la musica risonanza dell’anima», con il trittico «L’Eroica» (1907) di Gaetano Previati, avanza «il mito» in opere di Arnold Böcklin e Gustave Moreau, con una perla del simbolismo del Musée d’Orsay: «Esiodo e la Musa» (1891). Moreau e Pierre Puvis de Chavannes (sua «La speranza») sono i due grandi iniziatori della corrente in Francia. Da segnalare l’originalissimo trittico «La leggenda di Orfeo» del poco noto pittore trentino Luigi Bonazza.
Dalla pittura dei cosiddetti Nabis (tra cui Paul Sèrusier, Èmile Bernard e Maurice Denis; assente l’insuperato Paul Gauguin) si passa all’acqua come metafora della vita nella quale s’immergono i corpi maschili desiderosi di possedere le sirene, tema sviluppato da Max Klinger quanto dal nostro Giulio Aristide Sartorio. Quest’ultimo, in cinque sezioni più avanti, è presente con l’imponente ciclo pittorico «Il poema della vita umana» (La Luce, L’Amore, La Morte, Le Tenebre), tele dipinte ad olio ed encausto per la Biennale di Venezia del 1907, quando venne allestita la «Sala dell’arte del sogno», consacrazione in Italia del Simbolismo.
«L’amore alla fonte della vita» (1896), l’inno mistico all’amore di Giovanni Segantini, intona l’omonima sezione e avvia nelle sale successive una massiccia presenza dei simbolisti italiani che giunti più tardi alla tendenza la innestano nel tronco del Divisionismo. Oltre ai temi di Segantini, Previati e Sartorio sono visibili, tra gli altri, gli enigmi umani di Giorgio Kienerk, la magia decorativa di Galileo Chini e il ciclo di Vittorio Zecchin «Le mille e una notte», per sognare un mondo diverso alla vigilia della Grande Guerra.
«Il Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra» - A Milano, Palazzo Reale, sino al 5 giugno, lunedì ore 14.30-19.30, da martedì a domenica 9.30-19.30, giovedì e sabato apertura sino alle 22.30, 12/10/6 euro, info 02.54914.
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