AL PAC
Africa: raccontare un mondo
Che l’interesse per l’arte africana negli ultimi decenni sia cresciuto in misura esponenziale, lo determinano le quotazioni di alcune maschere d’epoca e di opere contemporanee battute dalle due più quotate case d’aste, Christie’s e Sotheby’s.
Ma lo dimostrano anche l’interesse di collezionisti di statura internazionale e la serie di grandi mostre allestite a partire dal Centre Pompidou a Parigi nel 1989, passando due anni dopo sia da New York, che alla Biennale di Venezia, sino all’inaugurazione, avvenuta pochi giorni or sono, alla Fondazione Louis Vuitton di Art/Afrique, sempre a Parigi.
Inoltre chi è Venezia-dipendente ricorderà l’imponente scultura di tappi in alluminio, rame e altri materiali di recupero dell’artista ghanese El Anatsui allestita sulla facciata di Palazzo Fortuny nel 2015, quando vinse il Leone d’oro alla carriera della Biennale.
A puntare i riflettori sull’identità di un continente la cui creatività ha radici secolari in un continuo fondersi tra aspetti religiosi, folcloristici, leggendari sino alla denuncia politica e sociale, arrivando sino a contaminazioni con l’arte occidentale, è la mostra «Africa. Raccontare un mondo».
In corso al Pac di Milano a cura di Adelina von Furstemberg, fondatrice di «Art for the world» affiliata all’Onu, la mostra ha anche una sezione video e performance affidata a Ginevra Bria. Il percorso espositivo propone attraverso la presenza di 33 artisti appartenenti all’area sud sahariana, uno spaccato della produzione di arte contemporanea compresa tra gli anni Sessanta sino ai giorni nostri.
Strutturata in quattro sezioni, l’esposizione prende avvio da «Dopo l’indipendenza», per procedere con «L’introspezione identitaria», la «Generazione Africa» e «Il corpo e le politiche della distanza». A definire la misura di quanto per un popolo siano fondamentali obiettivi come identità etnica, emancipazione e visione del futuro è l’opera di Omar Ba «Un continent à la recherche de son histoire», eseguita per l’occasione, e in cui tre figure, lasciandosi alle spalle simboli tradizionali, in cammino verso i visitatori tendono a varcare una ideale soglia all’indirizzo della contemporaneità. Di grande impatto per dimensioni e attualità tematica è l’imponente arca in legno di Barthélémy Togio «Road to exile», composta da fagotti, sacchetti e bottiglie di plastica con tonalità simili alle onde del mare. L’artista in un breve colloquio con noi ha definito il concetto che chi fugge da una dittatura non è un migrante come lo si intende in Europa, ma un esule, in quanto è costretto alla fuga da un regime totalitario. Dal taglio provocatorio e ironico nei confronti del design progettato dalle archistar occidentali la sedia «Contadina» di Alassane Drabo, composta da sedili di motorini su struttura di metallo, e «Weapontrone» di Goncalo Mabunda, realizzata con armi riciclate. Opera simbolo della mostra è la maschera di Romuald Hazoume «Bagdad city» assemblata con lattine di plastica, altoparlanti e vari elementi elettronici quale connubio tra espressività tradizionale e consumo spicciolo, emblematica complessità identitaria di un continente ancora in cammino.
«Africa. Raccontare un mondo» - Al Pac di Milano, in via Palestro 14, fino all’11 settembre, ingresso 8/6,50 euro. Orari: mercoledì, venerdì, sabato, domenica 9.30 - 19.30; martedì e giovedì sino alle 22.30.
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