LIDIA MACCHI
«Ero a Pragelato, ma non ricordo»
Dopo la sorpresa "Lelio", che nega in aula di avere mai confessato il delitto, inizia l'interrogatorio dell'imputato: «Non ho scritto "In morte di un'amica"»
LELIO Aspettando Stefano Binda, spunta il misterioso “Lelio”. Apertura a sorpresa, nell’udienza del processo sull’omicidio di Lidia Macchi davanti alla Corte d’Assise presieduta da Orazio Muscato. Nella giornata dedicata all’interrogatorio dell’imputato unico, il cinquantenne di Brebbia in carcere da due anni, in aula è comparso infatti, identificato dopo l’udienza del 20 dicembre in cui il suo nome era stato fatto prima da Paola Bonari e successivamente da Daniela Rotelli, l’allora studente universitario che, a inizio anni novanta, avrebbe avvicinato Rotelli autoproclamandosi il killer di Lidia, uccisa con 29 coltellate nel primi giorni del gennaio 1987 proprio dopo la visita all’amica Paola, ricoverata all’ospedale di Cittiglio in seguito a un incidente. L’uomo, interrogato dal sostituto pg Gemma Gualdi, ha negato di avere mai confessato l’omicidio. Si tratta, come già suggerito dalle dichiarazioni di Bonari e Rotelli, di una persona con seri problemi psichici palesati fin dalla giovane età, tanto che le due donne non avrebbero mai dato peso alle sue parole considerandolo ( cit.) “fuori di testa”. Un ennesimo vicolo cieco, dunque. Dopo l’inizio a sorpresa, l’udienza prevede ora l’interrogatorio di Binda, che risponderà all’accusa, all’avvocato della famiglia Macchi Daniele Pizzi e ai suoi difensori. Presumibilmente, come ha sempre fatto finora, proclamandosi estraneo al delitto.
NUOVE PERIZIE Dopo l'apparizione in aula del testimone misterioso, a sorpresa il sostituto pg Gualdi ha chiesto una serie di attività istruttorie compresa una perizia grafologica sulla poesia "In morte di un’amica", attribuita dall’accusa a Binda e dai consulenti della difesa a un’altra persona. "Servirà a dirimere definitivamente le divergenze" sulla paternità dello scritto secondo il sostituto pg che disporrà una consulenza psichiatrica per verificare se "le patologie" di cui è affetto Binda "possano avere influito sul suo comportamento". Altra consulenza genetica, sempre dell’accusa, riguarderà quelle quattro formazioni pilifere trovate sulla salma della studentessa che non appartengono all’imputato. Per il sostituto pg "quelle quattro formazioni pilifere appartengono a una persona che certamente non ha nulla a che fare con il delitto" ma sono frutto di "inquinamento" da parte di chi, nei giorni precedenti ai funerali, era stato nella camera ardente e aveva toccato il corpo per un estremo saluto. "Anzi - ha detto Gemma Gualdi - lancio un appello: chi ritiene di poter aver inquinato la scena, si faccia avanti così il suo Dna potrà essere comparato per stabilire a chi appartengano quei capelli". La difesa deve esprimersi sulle richieste dell’accusa e poi i giudici dovranno decidere.
PARLA BINDA Poi, in tarda mattinata, è finalmente toccato all'imputato. Stefano Binda, magrissimo ed elegante, con il pizzetto, ha cominciato a spiegare il contenuto degli scritti che gli furono sequestrati. Alle domande del sostituto pg Gemma Gualdi, il cinquantenne di Brebbia ha spiegato che uno scritto in cui annotava: "Stefano sei fregato, potrebbero strapparti gli occhi ma quello che hai visto hai visto", il 9 gennaio di quell'anno (il corpo della ragazza era stato trovato pochi giorni prima) in una pagina in cui si trovava la fotografia di Lidia "non aveva nulla a che vedere con l’omicidio" ma riguardava una sua sofferenza personale perché di fronte a un bivio: continuare a essere tossicodipendente oppure iscriversi all’Università e aderire a Comunione e Liberazione. La fotografia di Lidia, inoltre, non era "attaccata" alla pagina, come sostenuto dall’accusa, ma "vagante" nell’agenda.
Successivamente Binda, nel suo esame durante il dibattimento per l’omicidio di Lidia Macchi, è tornato a negare di essere l’autore di quella poesia "In morte di un’amica" che fu inviata ai genitori della ragazza uccisa alcuni giorni dopo il ritrovamento del corpo. Binda, rispondendo alle domande del sostituto procuratore, ha anche negato la paternità di alcuni scritti che furono sequestrati in camera sua (per esempio un’annotazione a una versione di greco: "Stefano è un barbaro assassino") spiegando che spesso era solito portare con sè le sue agende e i suoi quaderni nei luoghi in cui andava e ha quindi ipotizzato che qualcun altro possa avervi scritto.
A PRAGELATO "Io ero in vacanza a Pragelato, ero partito il primo gennaio". Stefano Binda ha ribadito il suo alibi nei giorni in cui fu uccisa Lidia Macchi ma alla domanda di Gemma Gualdi su chi ricordava ci fosse con lui in quella vacanza ha risposto: "Non ho ricordi attuali di chi era con me". "A distanza di 30 anni - lo ha sollecitato il sostituto pg - riesce a dirci i nome di una persona che ci assicuri che lei era a Pragelato?". Il pm gli ha sottoposto un lungo elenco di nomi chiedendogli se li ricordava con lui, La risposta è stata puntualmente: "No".
Altri servizi sulla Prealpina di mercoledì 17 gennaio
© Riproduzione Riservata
Articolo Correlato: Oggi è il “Binda day”