LA SENTENZA
Atti osceni in piscina: condannato
Confermati dalla Cassazione due mesi e venti giorni a uomo di 47 anni
La Corte di Cassazione ha reso definitiva la sentenza di condanna nei confronti di un uomo di 47 anni di origini pugliesi, a processo perché accusato di aver compiuto cinque anni fa atti di autoerotismo in acqua, in una piscina di Ispra, mentre nelle corsie vicine si stava tenendo un corso di nuoto per bambini.
Due mesi e venti giorni la sentenza condanna (con pena sospesa e beneficio della non menzione) per il reato di atti osceni in luogo pubblico, giunta al termine di un processo con rito abbreviato davanti al gup del Tribunale di Varese, in seguito confermata dalla Corte d’Appello di Milano e dalla Cassazione.
Proprio la Suprema Corte ha respinto i motivi di impugnazione con i quali l’imputato ha provato a opporre «il vizio di motivazione della sentenza» e «la sua illogicità», in quanto il primo giudice e la Corte d’Appello «avrebbero sbagliato nel ritenere sussistente il reato di atti osceni, sulla base delle dichiarazioni dei testi che ebbero una mera conoscenza indiretta dei fatti, avendoli appresi da tale non identificata signora inglese che nuotava nella corsia adiacente, mai sentita né identificata».
La stessa sentenza, a detta della difesa, sarebbe stata inoltre contraddittoria, poiché «non avrebbe chiarito la importante circostanza se l’imputato fosse intento alla pratica dell’autoerotismo o se, più semplicemente, avesse il membro esposto fuori dal costume da bagno (circostanza compatibile invece con la giustificazione fornita dall’imputato che aveva dichiarato che si stava sistemando il costume da bagno, ndr)».
Niente da fare nemmeno per quel che riguarda l’intenzionalità della condotta oscena, che non sarebbe mai stata provata, così almeno seguire le argomentazioni della difesa.
Difesa che ha puntualizzato, tra l’altro, come i bambini non avrebbero mai potuto avvedersi dell’oscenità, «atteso che la corsia loro dedicata era lontana da quella in cui si trovava l’imputato».
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