LA SENTENZA
Badante violenta: condannata ed espulsa
Era stata arrestata a marzo. Dopo la sentenza la donna è stata accompagnata all’aeroporto
Un’aguzzina che maltrattava senza pietà l’anziana di cui avrebbe dovuto prendersi cura.
A questa conclusione è giunto il giudice monocratico Rossella Ferrazzi la mattina di ieri, mercoledì 27 giugno, al termine del dibattimento.
La badante finita alla sbarra è stata condannata a due anni col beneficio della sospensione condizionale della pena - come richiesto dal pubblico ministero Fabio Portera - ed è stata scarcerata subito dopo l’udienza. Ma non per tornare alla sua vita di sempre, bensì per essere espulsa e rimandata in Ucraina, suo paese d’origine.
La sessantanovenne - che in Italia svolgeva la sua professione da vent’anni - venne arrestata lo scorso 20 marzo dai carabinieri coordinati dal pubblico ministero Chiara Monzio Compagnoni. Fu un’indagine blitz quella condotta dagli inquirenti: in due giorni raccolsero tale e tanto materiale contro la donna da poterla mettere dietro le sbarre.
Vittima una ottantasettenne affetta da Alzheimer, che da qualche mese aveva al suo servizio l’imputata.
Tutte le violenze subite dalla nonnina, incapace di esprimere le sue sofferenze, emersero quasi per caso, da una visita medica.
Le figlie, a fine febbraio, la accompagnarono da un neurologo per un controllo specifico per la sua malattia e fu lui ad accorgersi di uno strano ematoma che l’anziana aveva sulla schiena.
Allora si accese una spia.
Chiesero conto alla ucraina, che rispose, rimanendo sul vago, «forse è caduta».
Ma la figlia che abitava al piano di sopra iniziò a fare particolarmente caso ai lamenti che arrivavano da sotto. Forse non erano soltanto le conseguenza spiacevoli del morbo.
Forse c’era dell’altro.
Così le due donne decisero di approfondire. Installarono in casa della mamma le telecamerine che si possono collegare allo smartphone e assistettero in diretta ai maltrattamenti.
Allora, con quegli elementi in mano, corsero dai carabinieri della stazione cassanese, che dipendono dalla compagnia di Busto Arsizio, i quali si attivarono immediatamente, collocando nell’abitazione microspie sonore in bagno e nel resto della casa. Ed ecco che tutta la crudeltà della sessantanovenne ucraina si manifestò senza ombra di dubbio, attraverso prove documentali inconfutabili.
Ogni volta che l’anziana si apprestava a consumare i pasti, la badante la picchiava con brutalità inaudita, sferrandole schiaffi e pugni fortissimi sul capo e dietro la nuca.
Lo faceva perché l’ottantasettenne mangiava lentamente facendo fatica a masticare e lei si spazientiva. E per picchiarla usava anche il cucchiaio. Umiliazioni, spintoni e botte anche quando la nonnina doveva espletare i suoi bisogni fisiologici e igienici all’interno del bagno. E poi continui insulti e minacce, sempre più pesanti e preoccupanti.
La situazione, monitorata continuamente dai militari del capitano Marco D’Aleo, stava peggiorando di ora in ora, tanto che gli investigatori dovettero intervenire facendo letteralmente irruzione in casa per bloccare l’ucraina e mettere fine all’inferno che stava vivendo l’anziana.
Il pm Monzio Compagnoni e il difensore della badante avevano deciso per un patteggiamento a due anni - pari cioè alla pena inflitta - ma per questioni procedurali non è stato possibile concluderlo. La donna, durante il processo, non si è fatta interrogare, ha soltanto rilasciato spontanee dichiarazioni, giustificandosi con un generico «stavo male anch’io, non vedo l’ora di tornare in Ucraina». Verrà accontentata.
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