FIERA
Beach Boys, Pedron e le “buone vibrazioni”
Il giornalista gallaratese ha presentato il suo ultimo libro sulla longeva band californiana, di cui è uno dei massimi esperti mondiali
Come trasformare la Fiera di Varese in una spiaggia californiana piena di surfisti, proprio come nelle estati degli Anni Sessanta quando la colonna sonora era “Surfin’Usa” e i Beach Boys cavalcavano le onde del successo? È bastato chiudere gli occhi e lasciarsi travolgere dalle parole di Aldo Pedron, giornalista gallaratese, tra i fondatori di “Mucchio Selvaggio” e direttore de “L’ultimo buscadero”. Esperto di musica americana, viene semplicemente considerato il più grande conoscitore dei Beach Boys in terra italiana (e forse non solo). Intervistato da Diego Pisati della Prealpina, Pedron ha presentato la sua ultima fatica letteraria, “Good Vibrations”, 382 pagine di narrazione su quei cinque ragazzi partiti nel 1961 da Hawthorne, cittadina a sud-ovest di Los Angeles, per diventare in breve tempo un’icona generazionale mondiale.
«Ho a casa 66 libri sui Beach Boys, ma nemmeno uno in italiano- ha raccontato Pedron in fiera - Potrà sembrare un’assurdità, ma se per i Beatles e i Rolling Stones gli scaffali delle nostre librerie sono pieni di volumi, prima di Good Vibrations non ce n’era nemmeno uno dedicato alla band più longeva nella storia del rock, la prima oltretutto ad aver creato un disco unplugged. Si chiama “Beach Boys Party!” e risale al 1965. Ad ascoltarlo sembra che l’abbiano registrato ubriachi in spiaggia a una festa, invece è stato fatto interamente in studio».
Attorno ad Aldobeach ruota da anni una leggenda e Pisati non ha potuto esimersi dal fargli una domanda a riguardo. Pare infatti che i Beach Boys, alla ricerca di un album inciso anni prima ma introvabile anche per loro a distanza di tanto tempo, finirono per rivolgersi «a quel tizio di Gallarate che sa tutto di noi». Come sia andata per davvero, Pedron non ha mai voluto raccontarlo fino in fondo. Ma se fosse tutto vero, ed è assai probabile che sia così, non ci sarebbe nulla da stupirsi. Perché nel suo studio conserva come fossero reliquie 13mila album in vinile, quattromila 45 giri, novemila cd, e tremila cassette, a cui si aggiungono videocassette, dvd, riviste musicali, enciclopedie, libri, giornali, foto e ritagli di giornali musicali fin dai primi anni Sessanta. C’è persino un magnifico Juke box Ami valvolare, un Continental 2 datato 1961 tuttora perfettamente funzionante. Il sogno di qualunque collezionista.
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