DELITTO MACCHI
Binda a giudizio? «Meglio così»
La difesa dell’unico imputato commenta la chiusura delle indagini: «Giusto abbreviare i tempi processuali per chi si trova in carcerazione preventiva»
Non è la prima volta che il sostituto procuratore generale di Milano, Carmen Manfredda, deposita l’avviso di chiusura indagini per l’omicidio di Lidia Macchi. Quando lo fece a fine luglio di anni fa, nel mirino c’era Giuseppe Piccolomo, una condanna all’ergastolo per il “delitto delle mani mozzate” di Cocquio Trevisago. Quell’atto rimase però senza seguito. Meglio, fu “azzerato” da una successiva richiesta di archiviazione. Il nuovo avviso di chiusura indagini, notificato nei giorni scorsi ai legali di Stefano Binda, gli avvocati Sergio Martelli e Stefano Pasella, sembra invece possedere ben altro spessore. Perché, stavolta, può effettivamente preludere alla richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del 49enne disoccupato di Brebbia, l’amico, esponente di Cl, accusato di avere violentato e ucciso la 20enne studentessa di giurisprudenza di Casbeno, trovata morta nei boschi del Sass Pinì il 7 gennaio di 29 anni fa.
«Effettivamente non mi aspettavo la chiusura dell’inchiesta in questo momento, evidentemente la Procura Generale ritiene di avere elementi sufficienti per provare le proprie testi accusatorie», ha confidato l’avvocato Martelli, uscendo dall’ufficio del sostituto pg Manfredda a Palazzo di Giustizia. Per poi proseguire: «Meglio così. In questi casi, prima si abbreviano i tempi processuali, meglio è per tutti, a cominciare da chi, come l’indagato, si trova sottoposto a carcerazione preventiva».
Lunedì, i difensori di Binda hanno avuto l’ok ad accedere all’interezza della complessa e tormentata indagine, fino al 2013 nelle mani del pm varesino Agostino Abate, e dal novembre di tre anni fa avocata dalla Procura Generale del capoluogo lombardo e affidata a Carmen Manfredda.
Ovviamente, ci vorrà tempo ad acquisire tutti gli incartamenti: perché dovranno essere fotocopiati atti per quasi 30 faldoni d’indagine. A fronte della scelta del “415 bis” della Procura Generale, viene naturale chiedersi che fine faranno gli svariati accertamenti in corso. Niente paura: quel che scaturirà dall’incidente probatorio disposto dal gip di Varese Anna Giorgetti sul corpo riesumato di Lidia Macchi, a caccia di tracce di Dna dell’assassino, come dagli accertamenti tecnici non ripetibili voluti dal sostituto pg per cercare l’arma del delitto al Parco Mantegazza di Masnago e al Sass Pinì, sulla scena del crimine, non andrà perduto. Tutto potrà confluire nel fascicolo processuale. Nessun commento ufficiale da parte della Procura Generale, anche se la dottoressa Manfredda da tempo si era convinta che non vi fosse più ragione per rimandare l’avviso di chiusura delle indagini. Per mettere così un punto fermo all’inchiesta. Per far capire che, con la mole di indizi raccolta, molto difficilmente procederà all’archiviazione di Stefano Binda, convinta com’è della sua colpevolezza.
Ampi servizi sulla Prealpina di martedì 8 novembre
© Riproduzione Riservata