LA DECISIONE
Binda resta in cella
Il gip sentenzia il terzo no alla scarcerazione dell’indagato per l’omicidio di Lidia Macchi
Ormai è praticamente certo, a meno di clamorose sorprese nei prossimi mesi: Stefano Binda, il 49enne di Brebbia in carcere da 263 giorni perché accusato dalla Procura generale di Milano di aver ucciso Lidia Macchi nel gennaio 1987, attenderà la fine delle indagini a suo carico a San Vittore.
Anche il ricorso presentato al gip di Varese Anna Giorgetti dai suoi difensori, gli avvocati Sergio Martellie Roberto Pasella è stato infatti respinto.
E questa decisione è la terza sfavorevole all’indagato, dopo che contro ricorsi presentati per ottenere la fine della carcerazione preventiva si erano già pronunciati, nel corso dei mesi, la Corte di Cassazione a Roma e il Tribunale del Riesame a Milano.
«A nostro avviso non ci sono le condizioni per tenerlo ancora in galera», aveva detto qualche giorno fa l’avvocato Martelli, aggiungendo che «indubbiamente siamo molto preoccupati per le condizioni di salute di Binda (da quando si trova detenuto a San Vittore a Milano avrebbe persi 27 chili, ndr), ma dietro la nostra richiesta c’è anche dell’altro».
E quest’altro sarebbe il fatto che «lo scorso anno è entrata in vigore la nuova legge sulle misure cautelari personali che, riformando alcuni articoli del codice di procedura penale, ha reso, di fatto, assai più arduo il ricorso al carcere preventivo: fatta questa doverosa premessa, siamo così sicuri che nel caso di Binda i giudici stiano applicando correttamente la legge numero 47 del 2015?».
«UN ESAME DI COSCIENZA»
«Forse gip e pm dovrebbero farsi un esame di coscienza e di diritto. E dopo il deposito degli atti delle indagini sin qui effettuate da parte della Procura Generale di Milano, sono sempre più convinto che non ci sono elementi sufficienti per tenere Binda in carcere».
Com’è noto, i difensori sostengono da sempre che per quanto riguarda Binda non esisterebbe alcun pericolo di fuga, dato che si tratta di un soggetto senza reddito che praticamente non si è mai mosso da Brebbia, dove viveva con la madre, e che deve fare i conti con una seria patologia cronica. Mentre per quanto concerne la reiterazione del reato e l’inquinamento delle prove, del primo aspetto farebbe piazza pulita il fatto che Binda è accusato di aver commesso un omicidio quasi trent’anni fa e poi nient’altro, e del secondo una più esatta ricostruzione cronologica degli eventi recenti da parte della difesa.
Binda non avrebbe contattato gli amici di un tempo per depistare, una volta saputo di essere indagato per l’omicidio di Lidia Macchi, ma quegli incontri sarebbero avvenuti del tutto casualmente un mese prima.
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