L’INCHIESTA
Binda verso l’Assise
La mattina di lunedì 19 dicembre, l’uomo accusato d’aver assassinato Lidia Macchi davanti al gup di Varese
Quasi trent’anni dopo la morte di Lidia Macchi, avvenuta nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987, l’uomo che la Procura della Repubblica generale di Milano ritiene il suo assassino, Stefano Binda, oggi quarantanovenne, in carcere dallo scorso 15 gennaio e sempre deciso nel proclamare la sua innocenza, comparirà davanti a un giudice.
L’udienza inizierà domani, lunedì 19 dicembre, alle ore 9.30 nell’aula del gup al primo piano del Tribunale di Varese e sarà a porte chiuse.
Giudice dell’udienza preliminare sarà Anna Azzena, chiamata dalla Sezione penale ad affrontare uno dei più celebri e inquietanti delitti della storia criminale della provincia di Varese, e questo perché i due gup in servizio in piazza Cacciatori delle Alpi sono entrambi incompatibili, essendosi già occupati della vicenda come giudici delle indagini preliminari.
Che cosa succederà domani?
C’è la richiesta di rinvio a giudizio di Binda, che sarà presente in aula, da parte del sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda, che ha avocato le indagini varesine tre anni fa e che dall’1 gennaio 2017 sarà in pensione.
E sembra ci sia l’intenzione di non chiedere il rito abbreviato, per un processo allo stato degli atti davanti allo stesso gup, con pena ridotta garantita, da parte dei difensori di Binda, gli avvocati Sergio Martelli e Patrizia Esposito (che ha sostituito di recente il collega Roberto Pasella).
Dunque, se Binda non cambierà idea all’ultimo momento sull’abbreviato (come potrebbe fare, dato che la decisione è sua) l’udienza di domani finirà quasi certamente per essere il momento del passaggio dalla fase delle indagini al processo pubblico davanti alla Corte d’Assise di Varese.
Anche in un procedimento sostanzialmente indiziario come questo, sembra infatti davvero improbabile che il gup decida di non sottoporre le accuse al vaglio dell’Assise, considerato anche il fatto che negli ultimi mesi a pronunciarsi contro la scarcerazione dell’indagato sono stati i giudici della Corte di Cassazione e del Tribunale del Riesame (per due volte).
Nell’attesa che si concluda l’analisi del Dna sui resti di Lidia riesumati, l’elemento centrale della vicenda resta la lettera anonima ricevuta dai genitori della ragazza prima del funerale: secondo l’accusa, Binda ha scritto la lettera, cosa che lui nega, e per questo sarebbe anche l’assassino.
Anche da questo punto di vista un processo in Assise permetterebbe dunque ai difensori di chiedere una perizia calligrafica “super partes” sul testo.
Domani, infine, in aula ci saranno anche madre, sorella e fratello di Lidia, assistiti dall’avvocato Daniele Pizzi, per la costituzione di parte civile.
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