Myanmar
Birmania domani alle urne, attesa vittoria di Aung San Suu Kyi
Ma restano interrogativi su cosa accadrà dopo voto
Roma, 7 nov. (askanews) - C'è grande attesa a Myanmar per le elezioni legislative che domani potrebbero portare al potere Aung San Suu Kyi dopo decenni di lotte per la democrazia contro l'autoritarismo dei militari. La Lega nazionale per la democrazia, guidata dal premio Nobel per la pace, punta a una vittoria che i sondaggi danno per probabile.
Per la figlia del fondatore della Birmania indipendente si tratterebbe di un deja-vu: già nel 1990 aveva vinto le elezioni, ma la giunta militare aveva ignorato il voto e iniziato una persecuzione che ha portato la leader democratica educata in Gran Bretagna ad accumulare 15 anni di detenzione. Poi, nel 2011, i militari hanno ceduto il potere a un governo parzialmente civile guidato dall'ex generale Thein Sein, attuale presidente, che ha effettuato alcune riforme e ha liberato molti dei prigionieri politici. Questo ha portato al voto di questo weekend, che viene considerato da molti un punto di svolta.
Tuttavia sul futuro di Myanmar permangono ancora pesanti punti interrogativi. I militari non sono stati del tutto allontanati dal potere e, anzi, gli stati maggiori mantengono il potere di nominare un quarto del Parlamento, in base a una riforma costituzionale del 2008 che impedisce ad Aung San Suu Kyi di assumere la presidenza perché ha avuto un coniuge e ha due figli con cittadinanza straniera, britannica per la precisione. Tanto che ieri la leader ha chiarito, spavaldamente, che il presidente sarà un altro, ma lei sarà "sopra il presidente".
Per questo il Partito dello sviluppo dell'unione e della solidarietà (Usdp), la formazione sostenuta dall'esercito, è come se partisse 25 metri più avanti in uno sprint da 100 metri. La Lega nazionale per la democrazia dovrebbe ottenere il 67 per cento dei voti per esprimere un governo in splendida solitudine.
Una quota, questa, difficile da ottenere, anche alla luce del fatto che in corsa ci sono ben 91 partiti e non sono esclusi brogli da parte dei militari, che in fondo sono sempre quelli che la premio Nobel ha conosciuto nell'ultimo quarto di secolo.
I risultati del voto non ufficiali dovrebbero essere diffusi a 48 ore dalla chiusura dei seggi. Poi il nuovo parlamento dovrebbe iniziare il suo mandato a febbraio, con un lungo periodo di vuoto nel quale, molto probabilmente, si svolgeranno trattative. Perché se Aung San Suu Kyi non avrà i numeri per governare da sola, dovrà cercare un difficile accordo. Probabilmente si rivolgerà ai più forti dei tanti partiti rappresentanti delle diverse etnie che compongono il mosaico birmano. Sarà un passaggio delicatissimo.
"La Lega nazionale per la democrazia non può andare da sola, ha bisogno di alleati", ha spiegato Khin Zaw Win dell'Istituto Tampadipa di Yangon. E non sarà semplice. Una delle linee di frattura in Birmania è appunto quella etnica. I rapporti tra la maggioranza buddista e le diverse minoranze, molte delle quali islamiche, sono estremamente tesi. Sebbene la famiglia di Aung San abbia una storia d'integrazione, l'ascesa di un movimento buddista duro e il permanere di focolai di rivolta e della repressione da parte dei militari, non segnala nulla di buono.
Inoltre il partito della premio Nobel ha irritato alcuni di questi partiti etnici con la decisione di presentarsi in tutte le aree del Paese.
Il pericolo più grande resta comunque la tensione tra l'attesa di democrazia che i birmani a questo punto hanno e il "grip" che l'ex giunta continua a mantenere su strutture di potere ed economiche nel paese del Sudest asiatico. Un caso tipico è quello della giada, la pietra preziosa tanto cara alla cultura cinese. Secondo l'organizzazione non governativa Global Witness, si tratta di un settore che produce entrate per 31 miliardi di dollari, ben oltre quanto ufficialmente dichiarato dalle autorità. Una ricchezza enorme che finisce nelle mani di figure legate al vecchio regime, compresi membri della famiglia dell'uomo forte di Myanmar, l'ex capo della giunta militare Than Shwe. "Stiamo parlando di persone che avrebbero molto da perdere se s'instaurasse una genuina democrazia che porrebbe domande su tali quantità di denaro", ha spiegato Juman Kubba di Global Witness.
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