IL FENOMENO
Botte alle mogli: due violenti nei guai
Italiano condannato a Busto Arsizio e marocchino denunciato a Luino
Due distinti episodi di ordinaria violenza domestica. Due casi “trasversali” con protagonisti e vittime che hanno riferimenti nazionali e culturali diversi. Uno è marocchino, l’altro, italiano.
Li unisce il ricorso alla violenza nei confronti delle loro compagne. E se per il primo la giustizia è arrivata sotto forma di denuncia, l’altro è invece fresco di condanna.
BOTTE A MOGLIE E FIGLIA
Non era la prima volta che l’uomo alzava le mani su moglie e figlia, ma l’altra mattina la donna ha trovato il coraggio di dire basta e chiedere aiuto ai carabinieri. L’intervento dei militari della Compagnia di Luino è stato provvidenziale e ha impedito conseguenze ancora più gravi per le due vittime.
Il “padre padrone” - cinquantaseienne di origine marocchina, già noto alle forze dell’ordine - è stato arrestato.
Il fatto è avvenuto martedì 12 ottobre in un appartamento di Luino. In base a quanto ricostruito dai carabinieri, a innescare la furia dell’uomo sarebbe stato un litigio nato per futili motivi: prima ha aggredito la moglie cinquantenne e poi la figlia, di 19 anni.
La donna è riuscita a lanciare l’allarme e sul posto, nel giro di pochi istanti, sono arrivati i carabinieri della Stazione di Luino e quelli del Nucleo operativo radiomobile della Compagnia: le pattuglie hanno fatto in tempo a bloccare l’aggressore che, «in stato di agitazione e particolarmente violento», spiegano dagli uffici dell’Arma, avrebbe potuto provocare alle due vittime ferite ben più gravi.
Madre e figlia, infatti, se la sono “cavata” con conseguenze non gravi: per la donna, si parla di un colpo di frusta cervicale e contusioni multiple superficiali; mentre la figlia ha rimediato una contusione all’anca destra e al bacino.
Entrambe sono state portate al Pronto soccorso dell’ospedale di Luino, da cui sono state poi dimesse con prognosi rispettivamente di 15 e 7 giorni. Per l’uomo invece, su disposizione del sostituto procuratore della Repubblica di Varese Luca Petrucci, è scattato l’arresto in flagranza ed è stato portato nel carcere dei Miogni, nel capoluogo. Ora dovrà rispondere del reato di maltrattamenti in famiglia.
GELOSO, LA PICCHIAVA INCINTA
Iniziò a picchiarla quando la ragazza rimase incinta, la picchiava davanti al neonato e davanti ai figli minori della ventinovenne, la picchiava anche dopo aver ricevuto il divieto di avvicinamento alla vittima. La picchiava sempre.
Nei giorni scorsi il trentaseienne di origini gelesi ha patteggiato davanti al gup Patrizia Nobile una condanna a due anni e otto mesi decisa nel corso del processo con rito abbreviato, quando ormai il pubblico ministero Chiara Monzio Compagnoni aveva chiesto una pena di quattro anni, richiesta alla quale aveva aderito anche l’avvocato di parte civile Christian Bossi.
È questo l’epilogo di una storia di maltrattamenti che la ventinovenne subiva dall’estate del 2015.
L’uomo era a dir poco accecato dalla gelosia, al punto da aggredire la ex pure quando la trovava sola con il cugino.
Era ossessionato dal tarlo del tradimento e lo esorcizzava attraverso pugni in faccia, calci in pancia, strapazzate di capelli.
Tra gli episodi più gravi la giovane mamma non potrà mai dimenticare quello accaduto lo scorso luglio quando l’imputato attese la ex e il loro bimbo di otto mesi sotto casa, si fiondò nella sua auto e iniziò a colpirla con una pietra sulla testa e a tirarle ceffoni così forti da perforarle il timpano.
«E se scendi dalla macchina», le urlava, «ammazzo te e il bambino».
Appena due mesi primi il tribunale aveva emesso un’ordinanza restrittiva, ma il trentaseienne non si fece intimorire dal rischio di andare in carcere.
Ma le aggressioni, più o meno cruente, erano state una costante fin dall’epoca della gravidanza.
Un pomeriggio, per esempio, mentre guardava la televisione, il trentaseienne si soffermò su un programma che trattava un caso di femminicidio. Ispirato da quel delitto, si alzò dal divano, andò verso la compagna, la prese per il collo e cercò di strozzarla.
La ventinovenne si difese graffiandolo e lui la sbatté a terra infierendo ulteriormente. Ci volle del tempo, ma alla fine la vittima si rivolse al Commissariato, supportata dai parenti che non l’hanno mai abbandonata.
L’auspicio è che la sentenza del gup Nobile abbia chiarito le idee all’ex compagno: non potrà mai più riconquistarla.
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