IL LUTTO
Buon volo, amico mio
Andrea Badoglio, il commovente ricordo del nostro Mario Visco
Aspetterò il tuo messaggio che non mi arriverà mai: «Hai visto che casino ho combinato anche stavolta?».
Avevi la voce stanca giovedì pomeriggio ma c’era il fine settimana affacciato sul ponte d’Ognissanti, la festa sul treno di Halloween, insomma, un angolino di tempo in cui ripararsi. Un pezzetto di trincea che vien buono per tenersi lontano dalla guerra quotidiana.
Ci conosciamo da quattro anni e anche se da oggi sei ufficialmente scomparso dalla vista di tutti, continuerò a parlarti, come facevi con tuo padre. Come faccio con mio padre. Lo farò anche in assenza dei nostri breviloqui quotidiani su whatsapp e messenger.
Sappiamo tutti e due che la vita non vale un pugno di quattrini, né un posto al sole a tutti i costi: sono queste le ricompense per i mediocri d’animo, per gl’infelici che scambiano l’amore per qualcosa che è dovuto. E che non è invece dato a profusione.
Abbiamo fatto insieme un bel pezzo di strada anche se ci vedevamo di rado. Quel solito caffè con le gambe sotto il tavolo, resta in sospeso. Se l’eternità è così lunga, capiterà che lo berremo insieme.
Adesso c’è da pensare al casino che hai combinato anche stavolta, andandotene come se ne vanno i giusti – sognando – e lasciando intatto il tuo sogno per chi ancora dorme della grossa e pensa d’essere sveglio.
Del resto sei stato coerente fino all’ultimo: tra vita e sogno non hai mai fatto differenze e gli incubi li hai attraversati sapendo che alla fine ci si sveglia e che nessun incubo, se abbiamo il coraggio di lottare, si può frapporre tra quel che siamo e quel che desideriamo.
Ti sei svegliato sul più bello.
Sta diventando interessante la tua seconda battaglia varesina, dopo quella del parcheggio alla Prima Cappella che piaceva alla Curia di Milano e alla sua pletora di peccatori redenti ogni domenica. Ma che, mannaggia, sarebbe stato tirato su da una ditta in odor di ‘ndrine. Poco male.
Le aree per far lavorare gli amici degli amici degli amici e dei parenti non mancano e i parcheggi, anche a Varese, sono come i forni per il pane: ce n’è sempre bisogno.
La tua seconda battaglia varesina ha come fine la tutela dei deboli: gli anziani ospiti di una casa di riposo che hanno avuto un impianto di condizionamento giusto da pochi mesi e quelli che si fidano del mondo che gli sta attorno.
Non sei arrivato a ottant’anni ma ne hai vissuti 46 – il numero di Valentino Rossi, non a caso - come se ne vivono centoventi.
L’hai fatto senza risparmiare entusiasmo, passione, energia, torti, delusioni, depressione. Soprattutto cazzate. Sì, non ci siamo mai nascosti in questi pochi anni di cammino che valgono tanto, che fare cazzate e ammetterle è un ottimo modo per non prendersi sul serio. Per sapere che non si è mai migliori di qualcuno ma che si può essere peggiori di tutti.
Dicono i necrologi fioriti in questo lunedì, che hai lasciato di te l’impronta di chi sa essere vero andando controcorrente. Ti saresti incazzato: controcorrente ci vanno i disadattati, i rivoluzionari incazzati col mondo, i bombaroli. Non hai neppure mai ambito a essere diverso a ogni costo, come certi radical omologati.
Tu andavi per la tua corrente, spesso creandola in acque stagnanti. La stessa corrente in cui si rispecchiano quelli che ti stavano accanto, aiutandoti e facendosi aiutare da te: non occorre essere un costruttore edile col grembiulino per tirar su opere che resistono al tempo. Sapere che te ne sei andato nelle stesse ore in cui la terra ha tremato forte mi fa pensare a te come al più costruttivo terremoto che Varese abbia avuto in questi ultimi cinque lustri.
Quello che ti aveva preceduto con analogo furore ma mira sbagliata, smantellando solo in apparenza equilibri affaristici ancora in voga, oggi è sfumato in un’arietta lieve e maleodorante, come quella che a Napoli chiamano pirchipetola. Quell’arietta che soffia sul Molina e che qualcuno va bollando come aria di calunnia.
La tua seconda battaglia non ha alcunché della calunnia e la stavi combattendo contro nomi e fatti che hai segnalato - come tue costume - alla Procura della Repubblica e alle persone di cui ti fidavi.
Sta’ certo che questa battaglia non l’avrai combattuta invano, comunque finisca: la coscienza è lo specchio cui non si sfugge. Quello che hai combinato sin qui è parte di questo specchio. Non c’è varesino che possa pensare di non trovarcisi.
Non c’è varesino che possa pensare che lo stress che ti ha ucciso non sia quel sicario che ci vive sulle spalle e che colpisce alla schiena quando la battaglia infuria.
La tua devozione alla verità sotto forma di giustizia, imparata sulla tua pelle e donata agli altri con la fatica immane di ogni giorno, ha la stessa sostanza delle fiamme dell’inferno. Un luogo che esiste solo per chi ci crede e continua a guadagnarselo ogni giorno pensando d’essere più furbo, più giusto.
Qualcuno di questi, oggi forse si sentirà assassino o complice o forse soltanto sollevato d’avere un irriducibile avversario in meno. Sarà questa certezza a renderlo morto da vivo. L’esatto contrario di ciò che capita a te.
Però adesso fammi una cortesia: prenditi tutto il tempo che vuoi per rilassarti in santa pace, per tifare Milan dall’unico cielo che abbia senso e per continuare a vegliare su una città che ti ha dato meno di quel che meritavi e che ti ha tolto tutto quello che serviva per dimostrarle che i puri di cuore esistono e resistono anche se non li incroci più.
Proprio come ha scritto oggi un tuo caro amico, al quale prendo in prestito il senso stesso della tua esistenza visto da questo mio angolino: “Mi hanno seppellito ma non sapevano che fossi un seme”.
Buon volo, amico mio.
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