LA CONDANNA
Casa franata: pagano Comune e Amsc
Villa Rovelli finì distrutta: alla famiglia risarcimento di 840mila euro
Sono passati cinque anni. Ma chi, quel pomeriggio di fulmini e chicchi di grandine grossi come noci era al Belvedere, non può aver dimenticato l’immagine di villa Rovelli che si accartoccia su se stessa e finisce ingoiata nel precipizio circostante.
Era il 23 giugno del 2012, esattamente due mesi e mezzo dopo il primo cedimento della collina che si affaccia sul Ticino - uno dei punti panoramici più belli della città - causato da una perdita nelle condotte fognarie sottostanti.
Il tempo della giustizia non è mai rapido, ma finalmente Giuliano Rovelli e la sua famiglia hanno ottenuto un risarcimento per il danno patito. Il Tribunale civile, infatti, ha condannato Amsc e il Comune di Somma Lombardo al pagamento di 840mila euro, comprensivi dei danni morali patiti. Confermando in toto l’analisi tecnica compiuta a suo tempo dal Ctu, il tribunale ha ripartito la somma complessiva per il 70 per cento alla società municipalizzata gallaratese, che a quel tempo aveva in gestione il depuratore sommese, e per il restante 30 al Comune in quanto proprietario delle condotte perdenti che hanno eroso il terreno sottostante fino far crollare l’intera collina.
Amsc, dunque, pagherà a Rovelli quasi 600mila euro, mentre la quota restante sarà a carico dell’ente locale.
Per quanto riguarda Palazzo Viani Visconti, però, l’esborso dovrebbe essere minimo, ovvero pari alla franchigia dell’assicurazione che copre questo genere di eventi. Salvo clamorosi colpi di scena, dunque, l’amministrazione non ricorrerà in appello, semplicemente perché non ha alcuna convenienza economica.
Anche il risvolto civile del più grande disastro idrogeologico della storia recente della città potrebbe dunque essere vicino alla conclusione.
Il processo penale invece si chiuse già un anno fa, quando la Corte di cassazione ritenne inammissibile il ricorso del pubblico ministero e dunque decretò la frana del Belvedere come una vicenda senza colpevoli.
Il 21 luglio del 2015 il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio, Giuseppe Limongelli, prosciolse gli indagati, dichiarando il non luogo a procedere in quanto il fatto non sussiste.
La Cassazione un anno dopo confermò la loro innocenza in quanto il collasso delle tubazioni fognarie, con il successivo dilavamento della collina, non era da imputare al loro operato. Mai nessuno insomma, durante i lavori iniziati negli Anni Novanta sulla condotta fognaria, aveva avvisato del pericolo idrogeologico.
Mai fino a dicembre 2011, quando in una relazione tecnica un ingegnere finalmente preconizzò quanto poi accadde cinque mesi dopo: «Signori guardate, il manufatto c’entra poco, qui sta franando la collina».
Ma ormai era troppo tardi.
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