ANGELI & DEMONI
Cazzaniga in Corte d’assise
Il medico accusato di dodici omicidi sceglie di affrontare il processo a porte aperte
Leonardo Cazzaniga affronterà la Corte d’assise. Lo ha annunciato mercoledì in aula il suo avvocato Ennio Buffoli, anticipando quindi la richiesta che verrà formalizzata all’udienza di settimana prossima.
Un processo pubblico, quindi, davanti alla giuria popolare: il mezzo migliore per poter contestare l’accusa di essere un pluriomicida.
Con il dibattimento l’ex vice primario potrà portare studi medici, testimoni, carte e consulenze mirate a dimostrare la bontà del suo protocollo.
D’altro canto già nell’interrogatorio davanti al gip del 2 dicembre 2016, Cazzaniga affermò: «Io ho commesso gli atti medici (...) Era certo per la loro salute, per alleviare le sofferenze, essendo pazienti in fase terminale, preterminale (...) Per terminali intendo minuti, mezz’ore o ore. Per me era semplicemente accompagnarli alla morte».
Un passaggio questo ripreso anche dalla perizia degli psichiatri nominati dal gup Sara Cipolla, Franco Martelli e Isabella Merzagora.
Alla domanda del giudice se sapesse che i farmaci avrebbero determinato il decesso dei pazienti, Cazzaniga rispose: «No, sapevo che avrebbero eliminato la sofferenza, l’agonia, è diverso del procedere verso la morte ma contestualmente questi farmaci hanno come effetto collaterale anche di accelerare il decesso».
Dalla perizia emerge inoltre che Leonardo Cazzaniga ammette in modo generico e non partecipato di aver commesso errori nella propria esistenza, ma ciò non riguarderebbe quello per cui è accusato che, a suo dire, non configura l’omicidio.
«Il protocollo? Non erano omicidi ma sedazione palliativa terminale».
Il suo famigerato protocollo altro non era che una cocktail composto da un mix di midazolam, ipnovel, morfina e profol.
Ma a parere suo, quella prassi medica da lui adottata poggerebbe su sei pilastri:la pietas, l’umanità, lenire la sofferenza fisica e psichica del paziente, considerarlo come simile a sé, come fosse un proprio parente, rigettare l’accanimento terapeutico, praticare la vicinanza con la famiglia.
Cazzaniga, sempre durante l’interrogatorio, si difese chiamando in causa «il nostro Ippocrate»: «Primum sedare dolorem, questo duemila anni fa e lì stava il nucleo centrale della nostra attività. Nel corso degli anni, vedendo situazioni sempre più drammatiche in pronto soccorso, anche fenomeni di accanimento terapeutico da parte dei miei colleghi, e molti miei colleghi, ho maturato la convinzione che fosse inumano e anti-pietas comportarsi sul morente in modo accanente».
La soluzione quindi per lui sarebbe stata una somministrazione di «morfina, midazolam e largactil, in dosaggi un po’ superiori rispetto alla norma (...) in questi casi non si trattava solo di dolore, ma di sofferenza correlata alle immediate fasi della morte. In una persona sana non avrebbero nemmeno avuto effetto».
Saranno verosimilmente queste le tesi che sosterrà davanti ai giudici popolari e togati.
© Riproduzione Riservata