Iran
Compagnie petrolifere al lavoro per tornare in Iran
Dopo Eni anche Shell a Teheran. Il nodo contratti e crediti
Roma, 25 giu. (askanews) - Una delegazione di Royal Dutch Shell si è recata a Teheran per discutere investimenti nell'industria petrolifera iraniana, confermando la grande attesa del settore per l'accordo sul nucleare e la fine delle sanzioni che aprirebbe la strada al ritorno del business internazionale nel Paese degli Ayatollah.
La notizia della "ricognizione" della major internazionale campeggia oggi in prima pagina sul Financial Times, che evidenzia come anche l'italiana Eni abbia già a sua volta compiuto una missione a Teheran al massimo livello: l'ad Claudio Descalzi è infatti volato nella capitale iraniana nel mese di maggio, dove ha incontrato il ministro responsabile della produzione petrolifera, Bijan Zanganeh.
Royal Dutch Shell ha invece confermato un incontro a Teheran nel mese di giugno, incentrato sulla questione del debito accumulato dalla Compagnia Nazionale del Petrolio Iraniana per greggio estratto e non pagato in passato. "Sono state anche discusse le potenzialità di business in caso le sanzioni vengano revocate". Argomenti simili a quelli trattati dall'amministratore delegato del Cane a Sei Zampe che vanta ancora un credito nei confronti di Teheran per circa 800 milioni di euro.
In teoria, l'accordo sul nucleare iraniano dovrebbe essere chiuso entro il mese di giugno. Ma sia da parte iraniana che da parte dei negoziatori internazionali - gli Usa in primis - si ammette che uno slittamento è del tutto probabile.
Anche le compagnie petrolifere hanno messo in conto tempi più lunghi sul fronte diplomatico prima che si possa riaprire la possibilità di tornare a lavorare in Iran.
Da Eni si sottolinea però che quello delle sanzioni è solo il primo degli ostacoli da superare prima di poter riaprire le attività nel Paese. Un impedimento legislativo alla firma di qualsiasi accordo produttivo con Teheran che esula dalle competenze delle società. Il vero nodo sul quale le diplomazie delle compagnie petrolifere stanno già lavorando con le autorità iraniane è invece quello contrattuale.
L'Iran, spiegano dal Cane a Sei Zampe ad askanews, è l'unico Paese al mondo che ancora utilizza un tipo di contratto di buy-back. In sostanza la compagnia nazionale "subappalta" le perforazioni e le estrazioni alle società straniere cui riconosce un introito calcolato sulla base dei costi sostenuti e di un livello di produzione prefissato e non modificabile. Un contratto "di servizio" in cui ogni costo extra è a carico delle compagnie straniere ed in cui eventuali profitti extra sono solo per il governo.
Eni e Royal Dutch Shell, oltre a reclamare i loro crediti, stanno quindi cercando di convincere il governo iraniano a utilizzare il contratto standard da loro utilizzato a livello internazionale detto Product Sharing Agreement, o PSA.
Il modello è stato spesso oggetto di forti contestazioni, come quelle avvenute in Iraq nel 2007, perchè giudicato da alcuni troppo sbilanciato a favore delle major petrolifere. Il PSA prevede che il governo riconosca alla compagnia straniera che investe una quota maggioritaria degli introiti produttivi fino a compensarla dell'investimento effettuato. Dopo questo periodo, che può durare molti anni, compagnia e governo si dividono gli introiti in percentuali prefissate.
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