IL CASO
Contabile con la villa da sogno
Impiegata infedele: datore di lavoro “ripulito” di 870mila euro in tredici anni. Chiuse le indagini della Procura
Tredici anni alle dipendenze di un’azienda tessile senza mai destare un sospetto, una perplessità.
Era l’impiegata modello, la scrupolosa contabile che ispira fiducia. Invece la donna nel corso del tempo è riuscita a sottrarre ai datori di lavoro quasi 870mila euro.
Nei giorni scorsi il pubblico ministero Luca Pisciotta ha chiuso le indagini partite dalla denuncia presentata dall’imprenditore truffato - assistito dall’avvocato Domenico Margariti - e condotte dalla guardia di finanza comandata dal capitano Precentino Corona.
Svariati i metodi usati dalla dipendente per erodere il patrimonio del datore di lavoro, facendo leva sulla sua ingenuità: a lei e solo a lei erano state affidate le credenziali di accesso e le passward dei conti correnti bancari su cui operava la ditta, la donna effettuava i pagamenti tramite home banking, utilizzando il computer che aveva in ufficio.
I codici d’accesso li conosceva solo lei. Aveva rapporti esclusivi con commercialisti e banche, riceveva gli estratti conto sulla sua mail personale. E per una decina d’anni al proprietario mai era venuto in mente di verificare i movimenti dei conti.
Così per esempio ogni qual volta si rendesse necessario emettere note d’accredito ad alcuni clienti, la donna contabilizzava importi di gran lunga superiori rispetto al reale per lucrare così sulla differenza.
Ovviamente i clienti erano ignari di tutto e ricevevano gli importi corretti.
A quanto pare per almeno due anni avrebbe bonificato sul suo conto corrente una sorta di doppio stipendio: il primo regolare, il secondo no. E come se non bastasse si attribuiva pure ore di lavoro straordinario mai davvero svolte.
Quando al titolare vennero i primi sospetti si mise a scandagliare tutti i file del computer della dipendente, scoprendo tutto questo sottobosco contabile che le aveva permesso di comprarsi la villa dei sogni, di farsi vacanze indimenticabili, di togliersi ogni genere di sfizio.
Nel pc è stato trovato un file nel quale erano riprodotti gli estremi contabili dei conti e dei fondi di investimento intestati a lei, al marito e alla figlia dai quali si evince che il patrimonio mobiliare della donna supera 560mila euro e quello della figlia raggiunge quasi 300mila euro.
Guarda caso, il controvalore dei titoli e delle attività bancarie corrisponde all’ammontare della somma sottratta all’azienda tessile.
Appurati i fatti, la donna è stata licenziata ma la causa di lavoro è ancora incardinata.
Sta di fatto che nel frattempo il suo ex titolare l’ha denunciata anche per calunnia.
Già, perché per giustificare il suo comportamento e impugnare il suo licenziamento l’indagata ha raccontato che almeno a partire dal 2002 la ditta avrebbe registrato fatture passive per operazioni totalmente o parzialmente inesistenti, ottenendo la retrocessione di parte del denaro versato al fornitore e avrebbe effettuato plurime cessioni di beni ai clienti in totale evasione dell’imposta e senza alcuna registrazione.
Ha inoltre detto di aver percepito dall’amministratore della società una provvista a sua discrezione per le illecite prestazioni e a partire dal 2014 un’integrazione della retribuzione mensile.
«E se mi ha licenziata», avrebbe aggiunto discolpandosi, «è stato per gelosia, perché ha scoperto una relazione molto confidenziale con un altro collaboratore».
Ora deciderà l’autorità giudiziaria come procedere.
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