Ucraina
Crisi ucraina a un bivio: Minsk 3 alternativa alla guerra
Situazione incandescente, ma qualcosa dietro le quinte si muove
Kiev, 1 lug. (askanews) - La situazione nel Donbass resta incandescente e la diplomazia internazionale non riesce a trovare il bandolo della matassa per far proseguire il processo di pacificazione che sembra definitivamente incagliato. Dopo il fallimento di Minsk 1, la prima intesa raggiunta nel settembre 2014 con la regia di Petro Poroshenko e Vladimir Putin, ora anche Minsk 2, sottoscritta lo scorso febbraio con la mediazione di Angela Merkel e Francois Hollande, traballa fortemente. Il cessate il fuoco viene violato con crescente frequenza da entrambi i lati, parte delle armi pesanti è stata riportata sulla linea del fronte, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) incontra enormi difficoltà nel monitoraggio degli accordi, la via politica di riconciliazione tra centro e periferia è stata ostruita da ogni direzione e tra separatisti filorussi e governo di Kiev il dialogo non esiste.
Il conflitto semi-congelato, complicato ora dalla rottura tra Mosca e Kiev sul fronte delle forniture di gas, in sostanza è pronto a riesplodere. E per evitare una rottura definitiva della tregua, che porterebbe di nuovo alla guerra aperta l'opzione più probabile è quella di un aggiornamento dei patti: una sorta di Minsk 3, nel tenper dare maggiore stabilità a una situazione che rischia di andare di nuovo fuori controllo. Voci in questo senso si rincorrono ormai da giorni tra Kiev, Mosca e Bruxelles, nella consapevolezza che l'ulteriore escalation militare e politica condurrebbe al disastro definitivo.
LE INTESE FALLITE
Gli accordi di Minsk 2 (12 febbraio 2015), fissati in 13 punti, possono essere divisi in due parti sostanziali: la prima che riguarda il piano militare, dal cessate il fuoco al controllo e alla stabilizzazione della tregua, la seconda che riguarda invece il piano politico, cioè la questione dell'autonomia dei territori del Donbass occupati dai separatisti filorussi.
Quattro mesi dopo la sottoscrizione dell'intesa entrambi i livelli non sono stati implementati e in alcuni casi sono stati fatti passi addirittura indietro. Da un lato, come nel caso di Minsk 1 (5 settembre 2014), la tregua non è stata pienamente rispettata, i focolai intorno a Donetsk e Mariupol non sono stati mai spenti, le armi pesanti sono ritornate sulla linea del fronte, centinaia di prigionieri sono ancora in attesa di essere liberati.
Se l'intesa del 2014 prevedeva anche la costituzione di una zona di sicurezza lungo il confine russo ucraino, quella del 2015 non la menziona direttamente, ma essendo Minsk 2 solo un'integrazione di Minsk 1, anche questo è un ulteriore deficit. Dall'altro lato, il processo politico di pacificazione fissato ormai quasi un anno fa, già previsto in tre stadi (dialogo nazionale, elezioni locali e decentralizzazione), è stato integrato e puntualizzato a febbraio con elementi che riguardano la precisa definizione geografica dei territori del Donbass sotto il controllo dei separatisti e quelli che definiscono la tempistica per l'avvio del dialogo (dal marzo passato, in realtà) e delle elezioni locali e la realizzazione delle modifiche costituzionali per l'autonomia regionale (entro la fine del 2015). Di tutto questo non c'è traccia concreta e tra Donetsk e Kiev separatisti e governo si scaricano la responsabilità del fallimento.
VERSO MINSK 3
Se le ultime settimane hanno mostrato come in realtà gli accordi sul Donbass siano fragili e praticamente impossibili da soddisfare a queste condizioni, è anche evidente come non ci possa essere una soluzione militare del conflitto, partendo innanzitutto dal fatto che sia i filorussi e il governo di Kiev non sono nelle condizioni di rovesciare la situazione a proprio favore. Secondo gli analisti se gli Stati Uniti e la Nato decidessero di fornire armi pesanti all'Ucraina per tentare la svolta, i separatisti avrebbero il sostegno aperto di Mosca e i conti sarebbero di nuovo da rifare. A una soluzione politica come previsto da Minsk 1 e 2 sembra comunque che nessuno degli attori in gioco abbia grande interesse e la situazione attuale appare sempre più precaria. Dopo l'ultimo incontro di martedì scorso tra ministri degli Esteri di Ucraina, Russia, Germania e Francia si è sostenuto da tutte le parti che l'intesa di Minsk rimane la base per la pacificazione, anche se lenta e faticosa. Già la settimana precedente però il Commissario europeo per l'Allargamento Johannes Hahn è arrivato a Kiev facendo pressioni su presidente e governo perché l'Ucraina soddisfi i propri obblighi secondo gli accordi, senza aspettare che i primi passi li facciano i separatisti, non tanto sul piano, militare, ma su quello politico. La questione principale riguarda il futuro status delle regioni separatiste, schiacciate tra Russia e Ucraina e di fatto ora una sorta di buco nero nel cuore dell'Europa.
QUALE STATUS PER IL DONBASS?
Il quotidiano Ukrainskaya Pravda, filoeuropeo e solitamente ben informato, ha scritto di una possibile revisione di alcuni punti degli accordi di Minsk, con la concessione dello status speciale ai territori separatisti in maniera permanente e non solo per un periodo limitato. Un'opzione a cui non solo Bruxelles, ma anche Mosca sarebbe favorevole e che proprio per questo è stata esclusa ufficialmente da Kiev. Dettagli, tutto sommato, all'interno di un quadro che per il futuro rimane ancora confuso e che nel presente è ancora incorniciato dalla retorica.
Se Kiev continua a rifiutare infatti il dialogo con i separatisti e il premier Arseni Yatseniuk ripete in ogni occasione che non tratta con i terroristi, secondo Minsk 2, con gli accordi firmati anche dai due leader delle repubbliche indipendentiste Alexander Zakharchenko e Igor Plotnitsky, gli interlocutori del governo sono proprio i due presidenti delle autoproclamate repubbliche secessioniste.
Che qualcosa si stia muovendo dietro le quinte è certo e anche Vesti, pubblicazione filorussa vicina alle posizioni dell'opposizione, ha raccontato di un possibile compromesso sul Donbass che si starebbe delineando Kiev e Mosca, con gli interi oblast di Donetsk e Lugansk, non solo quindi i territori occupati dai filorussi, a diventare una regione con grande autonomia sotto la sovranità ucraina.
L'ostacolo principale sarebbe la resistenza dei falchi governativi e in parlamento a Kiev guidati da Yatseniuk, con cui il presidente Poroshenko, fautore di una linea di dialogo con il Cremlino, deve fare ancora i conti. In ogni caso si tratta per ora solo di speculazioni, anche se la necessità di aggiustamenti in corso sul percorso di Minsk, prima o poi, è evidente.
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