CORSI E RICORSI
Da Garibaldi alla Lega
Carlo Piatti segretario della sezione che ha dato origine al movimento. Il suo trisavolo sbarcò in camicia rossa a Marsala. Uniti dalla stessa passione
C’è anche uno dei Mille nel variegato albero genealogico del nuovo segretario della Lega varesina. Una casata plurisecolare folta di uomini di legge, di notai veneziani diventati banchieri del Regno di Napoli, di valtellinesi e bergamaschi chiamati a gestire affari pubblici e privati nel Ducato milanese e persino un paio di cardinali. Ma se il trentasettenne Carlo Piatti, ex assessore alla Vigilanza nella giunta Fontana, ha mantenuto fede al dna professionale, praticante notarile prima e avvocato poi nello studio del padre Alberto e con il fratello Jacopo, nel cuore è rifiorita la passione che nel 1860 portò il suo trisavolo avvocato Rinaldo Arconatiin camicia rossa da Varese a Marsala. Passione sbocciata presto, da ragazzo, quasi contemporanea a quella per la ginnastica artistica, dove è stato campione provinciale, e fermentata dall’entusiasmo del movimento di Bossi ai suoi albori, antigaribaldini, certo, ma pur sempre “anti-sistema”.
Quel che è diventata oggi la Lega, a vent’anni di distanza dalle barricadiere utopie del secessionismo e dei parlamenti padani, non occorre dirlo qui. La leadership di Matteo Salvini appare oggi salda, senza nessuna delle tante insidie interne che accompagnarono, fin dagli inizi, quella del Senatur. L’unica anima un po’ in distonia è, in terra e in grattacielo lombardo, quella di Roberto Maroni. Il principale sopravvissuto alla poco gloriosa Gotterdammerung dei padri fondatori, al gelido crepuscolo della generazione bossiana e di un’idea di Nord che il compianto professor Gianfranco Miglio aveva rispolverato dal risorgimentale Carlo Cattaneo e resa disponibile all’obiettivo di abbattere la Prima Repubblica dei pentapartiti, corrotta e romanocentrica. La tempestività nell’impugnare le scope della Lega 2.0 è stata la scialuppa che ha salvato capitan Bobo dal Titanic, guadagnandogli poi il posto di Formigoni alla Regione. Una Lega di governo, dal profilo rassicurante e moderato.
La rigenerazione della Lega, però, è avvenuta nel frattempo con sementi del tutto diverse nella serra di Salvini. Una Lega nazionale e anzi nazionalista, con Le Pen al posto di Miglio come ispiratore ideologico, dura nei toni, a volte brutale, politicamente “scorretta” come lo erano le sparate bossiane dei tempi d’oro. A Varese, però, e in tutti i capoluoghi regionali – per restare nei confini “lumbard” – questa Lega 3.0 ha dato i risultati che si sono visti. Percentuali incoraggianti per un partito strappato miracolosamente all’estinzione, ma il cui peso resta ancora molto sotto la taglia richiesta per accedere al governoe la cui dimensione “italiana”appare improbabile.
La sconfitta di Varese è stata particolarmente bruciante, trattandosi non solo della culla storica del movimento ma della patria anagrafica di un gruppo dirigente che, Maroni a parte, conta su figure rilevanti come Giancarlo Giorgetti. Per ripresentarsi con ambizioni di governo tra cinque anni – e prima, alle prossime elezioni regionali del 2018, anno elettorale anche a livello nazionale – la Lega dovrà sciogliere due problemi. Il primo è quello delle alleanze. Difficile, mancando ancora nella destra dei leader, o meglio “un” leader, per discutere accordi. Il secondo è interno: al di là del carisma del leader, la Lega di Salvini non offre un credibile profilo di governo. Nemmeno Donald Trump, si dirà. Appunto, ma le somiglianze finiscono lì. E nemmeno Bossi, aggiungiamo, ma la diabolica abilità dell’Umberto era il gioco di acceleratore e di freno nello sfruttare il motore ibrido della Lega: quello di lotta e quello di governo. Maroni s’è portato via il secondo e oggi rappresenta una Lega di governo, ma troppo di governo, come a Varese è stata quella dell’ex sindaco Fontana. Salvini s’è tenuto il motore di lotta, ma senza l’altro rischia sempre di finire fuori giri. E fuori strada. La strada varesina affidata al garibaldino-ginnasta-avvocatosarà forse quellagiusta per rimettere in sintonia i due motori? E’ presto per dirlo, ma il laboratorio Piatti merita di essere seguito con attenzione. Potrebbe uscirne una formulacapace di ricreare una opposizione credibile per una alternanza che è sempre il sale della democrazia.
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