Africa
D'Agata (Assafrica): se Africa è una priorità, il governo aiuti le aziende
Associazione di Confindustria parteciperà al vertice Italia-Africa
Roma, 16 mag. (askanews) - Oggi in Africa ci sono più ong che aziende italiane, mentre è "molto forte la presenza di inglesi, francesi e tedeschi". L'Italia può essere competitiva con prodotti di qualità media e alta, ma se è vero che l'Africa è una priorità, come più volte ribadito dal governo, "bisogna aiutare le piccole e medie imprese a dirigersi verso il continente africano, potenziando la presenza diplomatica e prevedendo finanziamenti agli investimenti, perché adesso un'azienda che voglia investire non ha nessun incentivo economico né fiscale". E' quanto ha detto ad askanews Pier Luigi d'Agata, direttore generale di Confindustria Assafrica & Mediterraneo, l'associazione che riunisce piccole e medie imprese, grandi gruppi industriali e banche e che siederà alla conferenza Italia-Africa in programma il 18 maggio a Roma.
Secondo D'Agata, le aziende italiane sono "interessare a supportare la crescita dei Paesi africani, ma in generale, per la loro struttura organizzativa e per la loro struttura proprietaria, non amano l'investimento diretto, preferiscono la joint-venture con un partner locale". E per fare questo, alle piccole e medie imprese italiane serve supporto in loco da parte del personale diplomatico, perché, "una volta conosciuto il partner locale, abbiamo bisogno di saperne di più, soprattutto sulla sua affidabilità, e noi cerchiamo di lavorare con le varie associazioni imprenditoriali e camere di commercio locali, oltre che con le ambasciate, per cercare di fare un primo screening". Per questo "al governo chiediamo di potenziare le ambasciate, perché il personale è poco e in molti Paesi non ci sono neanche le ambasciate, ma consolati onorari che possono fare un'azione molto limitata".
Se si prendono in considerazione solo i Paesi a sud del Sahara, l'Italia conta infatti 19 ambasciate, contro le 44 della Francia, le 39 della Germania e le 33 del Regno Unito, come si ricorda nel rapporto "La politica dell'Italia in Africa" redatto per il ministero degli Esteri dall'Istituto per gli Studi di Politica internazionale (Ispi), che ha collaborato all'organizzazione della conferenza del 18 maggio.
Oltre a rafforzare la presenza diplomatica, "bisogna anche aiutare le piccole e medie imprese a dirigersi verso l'Africa, piuttosto che verso altre zone del mondo dove magari ci sono paesi più semplici" in cui operare e dove si "trova ugualmente manodopera a basso costo". E' quindi "necessario prevedere dei finanziamenti agli investimenti in Africa, perché altrimenti una potenzialità resta un annuncio", ha tenuto a sottolineare il direttore generale di Assafrica, riconoscendo come la "nuova cooperazione vada sicuramente in questa direzione, ma interverrà su un numero molto limitato di paesi". Ossia quelli ritenuti prioritari dal governo e che sono nove nell'Africa sub-sahariana (Senegal, Sudan, Sud Sudan, Kenya, Somalia, Etiopia, Mozambico, Niger e Burkina Faso) e due in Nord Africa (Egitto e Tunisia), stando alle linee guida triennali 2014-2016.
Eppure è la stessa Africa a chiedere all'Italia di esportare il proprio modello di sviluppo industriale, ossia la piccola e media impresa. Durante la visita ad Addis Abeba del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, lo scorso marzo, la presidente della Commissione dell'Unione Africana, Nkosazana Dlamini-Zuma, ha ribadito che gli africani "guardano al modello di piccole e medie imprese italiane per creare lavoro e per creare un proprio modello di crescita e di sviluppo" e che l'Africa "vorrebbe collaborare in questo specifico ambito sempre di più, soprattutto in settori come quello dell'agribusiness, dell'energia e della formazione professionale". Anche secondo D'Agata, "la piccola e media impresa, decentrata sul territorio e a proprietà familiare, è il modello ideale per lo sviluppo dell'Africa ed è facilmente replicabile". E settori come "l'agricoltura e l'agroindustria, le infrastrutture e tutto quello che fa capo al welfare sono quelli su cui lavorare nei prossimi decenni, anche per evitare che la gente parta per venire in Europa".
In questi settori l'Italia può offrire prodotti di qualità media e alta, "perché nella fascia bassa ci sono già i cinesi, i turchi, i brasiliani e altri". Prodotti come le "macchine agricole, per il settore dell'agricoltura e agrindustria, tecnologie per infrastrutture complesse, che le imprese italiane hanno, a differenza di Cina e Turchia, materiali da costruzione per una classe media che sta sempre più crescendo e che vuole abitazioni che siano anche uno status symbol della propria crescita economica e sociale, e beni di consumo". In generale, "macchinari per l'industrializzazione dell'Africa, che sta cercando di avviare in loco la trasformazione delle materie prime che oggi vende all'estero e che vorrebbe che il valore aggiunto della prima e seconda trasformazione restasse nei Paesi africani e non venisse trasferito nei Paesi industrializzati", ha ricordato D'Agata.
Alla conferenza Italia-Africa del 18 maggio, quindi, "il presidente di Assafrica, Fausto Aquino, presenterà il punto di vista e la disponibilità delle imprese in questa strategia politica di avvicinamento all'Africa, sottolineando l'enorme potenziale di sviluppo che le piccole e medie imprese possono portare, perché hanno bisogno di personale locale e sono pronte a formarlo nei Paesi africani". E a cavallo del vertice, il 17 e il 19 maggio, Assafrica sarà anche protagonista, insieme al ministero degli Esteri, di due incontri dedicati alla opportunità di investimento in Guinea Conakry e nella Repubblica democratica del Congo. "Perché la maggioranza delle aziende italiane non conosce abbastanza l'Africa, specie quella subsahariana", ha rimarcato D'Agata, ricordando l'azione svolta proprio in tal senso da Assafrica, che "negli ultimi anni è stata intensificata soprattutto sulle piccole e medie imprese che sono il tessuto industriale dell'Italia".
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