L’INTERVISTA
Di Cioccio racconta la PFM in tour
Lo storico gruppo - che ha appena pubblicato il nuovo lavoro - suonerà all’Openjobmetis sabato 2 dicembre: «Non solo canzoni, ma tatuaggi emotivi»
Una nave spaziale. Così, come mostra il disegno sulla copertina del nuovo album, “Emotional Tattoos“ (Inside Out), è ripreso il viaggio della Premiata Forneria Marconi.
Sabato 2 dicembre, alle 21, posti ancora disponibili, farà tappa al Teatro Openjobmetis di piazza Repubblica. Per Franz Di Cioccio, che con Patrick Djivas guida la storica formazione, Varese non è un posto qualsiasi.
«Innanzitutto è la città di Flavio Premoli, uno dei fondatori della Pfm, che resta tra i miei amici più cari. E poi la nostra avventura è cominciata poco lontano, in un posto allora bellissimo, il cinema Italia di Carnago: lì abbiamo provato e suonato a lungo, ponendo le basi del nostro futuro».
Compreso “Storia di un minuto“, ellepi d’esordio, del 1972, riproposto recentemente in vinile come primo pezzo pregiato della collezione di dischi del progressive e rock italiano edita da De Agostini.
«Una bella soddisfazione. Sentirci considerati apripista è motivo d’orgoglio. Un premio in fondo al nostro modo di intendere la musica: abbiamo sempre cercato di suonare ciò che ci piaceva. Alcuni dischi sono stati molto amati dal pubblico, altri meno, alcuni capiti subito, altri in tempi più lunghi. Ma dal primo all’ultimo, tutti gli album rispecchiano esattamente il nostro pensiero di quel momento».
Nel vostro tour alla data di Castrovillari segue quella di Tokyo, leggere i due nomi vicini fa un po’ effetto.
«Vero. Ma dopo Chicago saremo a Legnano: anche questo fa un po’ effetto. In un tour mondiale queste cose capitano. Fino a poche ore fa eravamo ad Amsterdam: ne ho approfittato per vedere qualche opera di uno dei miei pittori preferiti, Van Gogh. Fa parte dei vantaggi dell’essere on the road, l’entusiasmo cancella la fatica, che esiste in ogni tipo di lavoro».
E poi ci sono i fan.
«Se è vero che noi regaliamo emozioni, loro non sono certo da meno. In qualche caso autentica poesia, come quel ragazzo cieco che ha voluto fare un selfie con noi, una foto che non vedrà mai, ma che sa di possedere. Senza dimenticare quel varesino che mi disse di avere preso al volo, e messo in bacheca, la scarpa che lanciai verso il pubblico in un concerto negli Stati Uniti».
Ancora Varese che ritorna...
«Se è per questo, sappiate che a Milano sono cresciuto con un certo Marino Zanatta, poi stella dell’Ignis e varesino per amore. A dispetto della mia statura giocavo a basket anche discretamente, ma vedendo lui in azione ho pensato fosse il caso di cambiar mestiere; mi sono messo dietro la batteria e le cose sono andate meglio».
Emotional Tattoos è uscito in italiano e in inglese, da noi che versione proporrete?
«Italiana. In Olanda ho cantato in inglese, cavandomela; ma in Italia è meglio giocare con la nostra lingua. In questo album i testi non sono un orpello ma pensati, importanti. Li ho scritti con Gregor Ferretti, un cantautore ben più giovane di me; Patrick ha curato la versione inglese che non è unicamente una traduzione. Non pubblicavamo da tempo un lavoro inedito ed era giusto curarlo il più possibile».
Aprite con “Il regno” ricordandoci che il nostro pianeta non è “usa e getta” e chiudete con “Big Bang” che vede Stefano Bollani guest star al piano.
«L’ultimo degli undici brani è un inno alla vita e ci piaceva che avesse un’anima jazz, quella che Stefano rappresenta al meglio. Rock, sinfonica o jazz, per noi la musica non ha confini o barriere, ha un solo compito: emozionare. Non solo canzoni ma tatuaggi emotivi che puoi sentire sulla pelle».
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