DOPO IL REFERENDUM
«Dico no al voto anti-frontalieri»
Paolo Guerra, dentista a Magliaso con radici italiane: «Che tristezza»
C’è chi dice no, anche oltre confine. Il referendum anti-frontalieri ticinese ha spaccato il Cantone. E l’esito delle urne lascia grosse sacche di malcontento. «Non sono per nulla sorpreso, ma sono triste», dice Paolo Guerra, titolare di Intellident, studio dentistico a pochi chilometri dal confine di Lavena Ponte Tresa.
«Purtroppo si è trattato di un voto emozionale, una risposta che a mio avviso non è la soluzione dei problemi della realtà socio-economica del territorio in cui viviamo. Mi domando inoltre quanto questo referendum sia applicabile, perché, come tutto gli accordi internazionali, l’immigrazione è gestita a livello federale. Gli effetti sono tutti da vedere».
Suo padre è italiano e arrivò a Magliaso nel secondo dopoguerra. Prima da frontaliere e poi da residente. Fu il primo straniero a sposare una ragazza del paese. «Si presentò dopo aver fatto la Marina con la classica valigia di cartone», ricorda oggi il dentista. In Svizzera fece fortuna come marmista, un lavoro duro ma gratificante. «Se non avesse fatto il frontaliere io non sarei mai diventato dentista, mio fratello e mia sorella rispettivamente medico e banchiere. Da cittadino svizzero come potrei dire oggi no ai frontalieri?».
Guerra parla correntemente quattro lingue e considera i confini soltanto degli artefatti cognitivi creati dall’uomo. Per questo motivo già anni fa salutò con piacere l’arrivo degli accordi bilaterali tra Italia e Svizzera, convinto sin dal primo istante che avrebbero portato «crescita e progresso per tutti».
Oltretutto se dalle parti di Magliaso, dove ha collocato il suo studio professionale, le differenze sono meno marcate. «In relazione c’è uno dei cantoni economicamente meno attrattivi della Confederazione elvetica con la Lombardia, una delle regioni più all’avanguardia d’Europa. Sarò dunque un incurabile ottimista, ma credo che per progredire nella vita si debba guardare oltre i confini, siano essi politici, geografici, culturali o sociali».
Lui stesso ha deciso di puntare sui frontalieri. Da qualche tempo ha spostato infatti il suo studio sulla Cantonale per renderlo più visibile agli italiani che ogni giorno attraversano la dogana. «Ma ci rendiamo conto che qui davanti passano 27mila auto al giorno, più che al San Gottardo e al San Bernardino messe insieme?». Ecco perché, secondo Guerra, il voto di domenica è stato populista: «Lo statalismo e il protezionismo non funzionano. Non lo dico io ma lo dimostra la storia».
La sua posizione è chiara, ma da imprenditore radicato sul territorio è il primo a riconoscere che alcune tesi sostenute da Udc e Lega dei ticinesi hanno un fondamento di verità. È il caso del dumping sociale. «È vero, esiste eccome. Purtroppo ci sono datori di lavoro che licenziano gli svizzeri per assumere gli italiani alla metà dello stipendio. Ma è illegale già ora, non serve chiudere le frontiere per risolvere il problema. È compito dello Stato far valere le leggi nazionali del lavoro».
Nel suo studio, per esempio, i suoi dipendenti sono equamente divisi tra indigeni e frontalieri. Ma è un caso. «Io non ho mai guardato la nazionalità, mi baso sulla competenza professionale, personale e sociale della persona. E spesso mi è capitato di assumere italiani perché ho trovato in loro queste caratteristiche». Non a caso, da pochi giorni sulla propria pagina Facebook Guerra ha pubblicato un selfie scattato insieme a tutti i suoi collaboratori. «Guardatelo: vi sfido a trovare chi è svizzero e chi è italiano». Che differenza c’è?
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