SINDACO&ARTISTA
Federico Simonelli: se avessi immaginato...
Il suo sogno di ragazzo era studiare all’Accademia di Brera per diventare pittore. Ma quel desiderio non poté realizzarsi per la distanza e la difficoltà dei trasporti dato che la famiglia abitava a Lonate Pozzolo. Così il giovane si piegò, con grande rammarico, al volere materno e frequentò il Liceo di Gallarate.
Oggi, l’artista Federico Simonelli è grato per quell’imposizione che lo portò più tardi a laurearsi in Lettere antiche alla Statale di Milano: «Questi studi - osserva Simonelli - hanno creato in me un abito mentale fondato sull’equilibrio tra emozione e ragione, sulla tensione verso una specie di perfezione formale insieme serena e drammatica, evitandomi di cadere nella trappola dell’espressionismo, che non apprezzo».
E gli hanno consentito di sviluppare un’arte colta, in cui spesso la prima intuizione è di natura letteraria e i riferimenti alla cultura classica sono una sorta di basso continuo, la nota che più frequentemente ritorna.
Oltre quarant’anni di pratica creativa sono visibili nell’antologica «Se avessi immaginato» proposta dall’associazione culturale Hesperia nei piani nobili di Villa Borletti a Origgio.
L’iter espositivo, similmente a un poema, si dipana in nove stanze tematiche senza un ordine cronologico, segno di un’assoluta coerenza di poetica nel tempo. Spazi che sono «una meditazione sulla temporalità dell’esistenza», osserva Eleonora Fiorani nella presentazione, che vanno dalla stanza della memoria a quella della vita domestica, e spesso rinchiudono mormorii d’ambito sociale.
Infatti, Simonelli, oltre a coltivare la passione per l’arte e per l’insegnamento delle materie letterarie, dagli anni sessanta s’impegna in politica, sino a entrare nel 1975 nel Consiglio comunale di Fagnano Olona, dove da allora ricopre numerosi incarichi giungendo oggi al suo quarto mandato di primo cittadino.
Le stanze della mostra origgese propongono installazioni polimateriche in cui i singoli pezzi dialogano tra loro, confrontandosi in un gioco di rimandi. Ad esempio, in quella del tempo, tre busti in ceramica raku di amici dell’artista, abbigliati come antichi romani per sottrarsi a una precisa dimensione temporale, dichiarano la loro volontà di eternità (come fece Goethe con i suoi invidiosi colleghi letterati) e si raffrontano con le immagini fotografiche su carta e piombo ossidato di se stessi che, per converso, recitano, con fermezza stoica, «non ho avuto il tempo»: due modi diversi di misurarsi con l’esistere.
Simonelli, perché impiega tante tecniche e materiali diversi?
«Ogni opera richiede precise soluzioni tecniche e propri materiali. Per questo uso i mezzi più diversi: dalla pittura alla fotografia, dal legno alle lastre metalliche, dalla ceramica, e perché no, ai copertoni che, ad esempio nella stanza del rimpianto, metto attorno a medaglioni con calchi in ceramica raku di volti (le imagines clipeatae dei latini) a mo’ degli antichi serti d’alloro o di quercia. Nel mio lavoro io non procedo per tentativi. L’intuizione prende forma e si precisa a poco a poco nelle sue dimensioni, nei materiali e nei suoi equilibri interni esclusivamente a livello mentale. Solo dopo, quando anche i minimi dettagli sono a posto, passo alla fase esecutiva».
Il calco di un volto è un elemento importante nel suo lavoro?
«Sono calchi di volti di amici e figurano in lavori e situazioni diverse. Nella stanza della guerra una parete è invasa da queste anime che se ne vanno, mentre in altre sporgono in alto alle opere come presenze verosimili di quanto più sotto raffigurato come nella morte “domestica” di una madre. Il calco possiede una carica di verità che nessun modellato, nella sua inevitabile genericità, possiede».
Come mai nelle opere è assente il colore, mentre predominano neri, grigi, cromatismi terrigni, brumosi e tinte bruciate?
«Il colore ha una forte valenza emotiva ed è spesso usato in funzione seduttiva. Anche da giovane ho amato soprattutto le opere tarde dei grandi artisti del passato. Quando, ormai liberi da impegni di “mercato” e spogli di vanità sociali, hanno cercato una loro nuda verità e, non casualmente, hanno fatto uso molto parco del colore. Vorrei che nel mio lavoro l’emozione nascesse dalla tensione tra una visione drammatica della vita e il ritegno di una forma austera, scevra da facili cromatismi».
Qual è la sua riflessione conclusiva sulla pratica dell’arte?
«L’arte ha senso soltanto se è leopardianamente morale, cioè se riflette sull’essere al mondo. Il resto è decorazione. Ma pare che oggi ci sia grande confusione a questo proposito. Io credo che il compito dell’arte sia quello di dare voce al grido antico, Leopardi lo chiama antico dolor. E non semplicemente registrandolo, come hanno fatto ad esempio, in modo un po’ infantile, espressionismo e informale, e molta arte contemporanea, ma traducendolo in note, e quindi in musica. Questo è il dono più importante che la Grecia classica ha fatto all’umanità. Non a caso, tra le opere più grandi e struggenti della scultura greca, annovero alcune stele funerarie in cui la perfezione formale è la risposta più efficace allo strazio della morte».
Quali sono gli esiti dell’attività espositiva?
«Ho tenuto la prima mostra alla Galleria civica di Gallarate nel 1964, quindi ho esposto in totale libertà in numerosi altri spazi in Italia e in minor misura all’estero, ma non ho mai accettato le imposizioni e gli ammiccamenti del sistema dell’arte, e questo mi escluso da quel presunto Olimpo. Per qualche tempo me ne sono rammaricato, ma oggi, guardando indietro, mi rendo conto che un certo isolamento è stato la garanzia di una totale libertà creativa. E alla fine è questo che, me ne rendo conto ora, mi è sempre importato».
Come ha potuto conciliare l’attività politica con quella artistica in termini d’impegno sia temporale che civico?
«In realtà non ho fatto alcuno sforzo nel conciliare attività artistica e impegno politico. Se l’arte è davvero riflessione sull’essere al mondo, credo che l’esperienza del mondo sia necessaria. E l’impegno politico è una delle forme, anche se non l’unica naturalmente, di esperienza del mondo. Osvaldo Licini è stato sindaco di Monte Vidon Corrado per vent’anni».
Federico Simonelli, «Se avessi immaginato» - Origgio, Villa Borletti, associazione Hesperia, via Dante 63, sino al 31 luglio sabato e domenica ore 9-12 e 16-18.30, ingresso libero, info 333.6919848, www.aps-hesperia.it.
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