Ue
Grecia, anche Obama preoccupato dal "contagio politico"
Presidente Usa teme rivolta antisistema in altri Paesi dell'Ue
New York, 7 lug. (askanews) - La Grecia ha bisogno di un piano
di "aiuti e riforme". È tutto quello che i giornalisti
statunitensi sono riusciti a far dire al portavoce della Casa
Bianca, Josh Earnest, in merito all'opinione del presidente
Barack Obama sulla vittoria del 'no' al referendum greco
sull'accordo con i creditori. Earnest ha invitato ancora una
volta Atene e i suoi creditori a trovare un "accordo costruttivo,
una soluzione che sia nell'interesse collettivo". Parole che non
aggiungono nulla al dibattito sulla crisi greca e che ribadiscono
l'intenzione di Obama di restare fuori dalla discussione, come
avrebbe promesso, secondo la stampa statunitense, alla
cancelliera tedesca, Angela Merkel, nel loro recente incontro al
summit del G-7.
Dalle parole di Earnest, e da quelle pronunciate da Obama nel
corso delle settimane, traspare una relativa tranquillità degli
Stati Uniti sul fronte economico-finaziario della crisi greca,
certamente "seria", ma di cui i mercati hanno "tenuto conto" e
che non tocca direttamente Washington. La vera preoccupazione
della Casa Bianca, e il motivo per cui Obama "fa il tifo" per un
accordo tra Atene e i creditori internazionali, è politica. E
non riguarda neppure l'influenza che potrebbe esercitare la
Russia su Atene, ma il possibile contagio di una rivolta contro
un sistema depauperante.
Obama, sempre cauto, aveva alluso a questo problema, affermando, in difesa dei greci, che "non si può continuare a spremere i Paesi che sono nel mezzo della depressione", avvertendo che "alla fine, il sistema politico e la società non possono sostenere" questa situazione.
L'Huffington post oggi riflette su questo punto, sottolineando gli echi su scala globale di quanto è avvenuto a partire dalla fine del diciannovesimo secolo negli Stati Uniti. Lo sviluppo industriale e l'affermazione di un nutrito gruppo di persone molto ricche crearono i presupposti per la nascita di una contrapposizione politica impersonata dal progressismo: il nuovo "potere del denaro" era giudicato troppo grande e incontrollabile, un motore non di prosperità, ma di disuguaglianze e corruzione. Il Partito progressista puntò a imbrigliare il potere delle grandi compagnie, nell'interesse della gente. Ora che le economie del pianeta sono essenzialmente diventate una sola e che una dozzina di banche controlla 30.000 miliardi di dollari in asset, la domanda insistente di una nuova e più giusta redistribuzione sta cominciando a diffondersi in tutto il mondo.
Lo stesso Obama ha mandato una proposta di budget al Congresso con molti piani di spesa, dichiarando che è arrivato il momento di porre fine all'austerità meccanicamente richiesta dai repubblicani, che hanno risposto con la più severa proposta di budget degli ultimi anni. Obama sta combattendo una battaglia contro l'austerità che in Europa vive una versione più intensa e dalle conseguenze più pericolose.
Il sentimento anti-austerity dei greci, la voglia di ribaltare il tavolo mostrata dagli elettori ellenici domenica scorsa, potrebbe diffondersi innanzitutto in Portogallo e Spagna, dove tra pochi mesi ci saranno le elezioni, che metteranno alla prova i governi che hanno imposto dure misure di austerità. In Francia e Italia non sono previste a breve nuove elezioni, ma il successo del 'no' al referendum greco ha rinvigorito i partiti di sinistra e antisistema, come dimostrato dalla presenza di alcuni loro rappresentanti e leader in piazza ad Atene, a sostegno di Syriza.
L'avvertimento, molto prima di Obama, lo diede l'economista britannico John Maynard Keynes, durante la Grande depressione: non si può spremere un Paese per portarlo alla prosperità, ma bisogna fare esattamente l'opposto. Si tratta di un insegnamento che conoscevano bene anche i fondatori del Fondo monetario internazionale, il cui obiettivo iniziale era anche di fornire ulteriore liquidità, dove necessaria, e non di tagliare. Oggi, l'Fmi sembra diventata una società di recupero crediti, che insiste per dure misure che garantiscano la restituzione dei prestiti fatti a Paesi vulnerabili da istituti bancari mondiali.
Qualcosa deve cambiare, come hanno dichiarato i greci con il loro 'no'.
Così Obama si tiene fuori dalla mischia, ma auspica un accordo, un compromesso, in fin dei conti una ricomposizione all'interno degli schemi Ue, ma con nuovi spunti per uscire dal recinto dell'austerità ad ogni costo. Lo stesso portavoce Earnest, che ieri sera ha tagliato corto sulla questione, durante il negoziato a continui rilanci tra Grecia e creditori prima della rottura e la convocazione del referendum, aveva detto che l'amministrazione Usa si sentiva "rincuorata" dalle dichiarazioni del premeir greco Aleksis Tsipras e di altri leader, sulla volontà di tenere Atene nell'euro: "E' certo la nostra opzione preferita".
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