IL RACCONTO
I ME BEI NEGUZIANT!
Un omaggio a Leo Spaventa Filippi, nel giorno in cui avrebbe compiuto 104 anni, con un suo brano tratto dalla raccolta “Racconti cooriti da un pittore”
“I ME BEI NEGUZIANT !”
(tratto dalla raccolta “Racconti coloriti da un pittore”
di Leo Spaventa Filippi, 1996 editore Galleria d’Arte Ponterosso)
“I me bei neguziant!” Sentii pronunziare questa frase in dialetto varesino da Carlo Mozzoni, nobile, ultimo discendente di quella famiglia, grande lavoratore, uomo pieno di singolare umanità. Lo vedevo, e ancora lo vedo, fare la spola in treno tutti i giorni, Varese-Milano, con due borse, con la virtuale sicurezza della formica che sa di andare al nobile scopo del suo lavoro altamente qualificato.
“I me bei neguziant!”. Lo disse con tono accorato quel “bei”, belli, sì, cari, buoni, familiari, perché giornalmente avevano un rapporto familiare con le nostre case. Erano gli umani alfieri dei nostri bisogni quotidiani.
Lo disse con infinita nostalgia per un’epoca in tramonto, a cui si sta sovrapponendo il mostro del Supermercato.
“I me bei neguziant!”. La frase uscì dalla sua bocca, così naturale, nell’ampiezza della mente che aveva comprese due epoche, dando alla prima tutta la sua solidarietà umana, alla seconda, il grigiore della pratica, sbrigativa necessità della vita.
La frase mi urtò. Per un sol momento non la compresi; pensando all’epoca di arricchimento della categoria dei negozianti. Ma, come tutte le cose, che si evolvono nella trasformazione naturale di un’epoca, mi fece riflettere sul piano umano. L’arricchimento, i più o meno piccoli abusi approfittativi, dei singoli, per essere stati i feudatari di un’epoca a loro favorevole, che ha potuto creare astii e borghesi attriti? No. L’accusa cadde al rapporto della mia coscienza generosa, serena, che non voleva nessuna rivalsa.
Con bonomia regale misi sulla bilancia, da una parte, il rapporto umano di quel feudo in cui si muoveva la nostra società, dall’altra, il mostruoso pescecane, muto di familiarità, che ci ingoia come tanti numeri: “Il Supermercato”.
E poi quei feudatari ebbero anche i tempi migliori, i tempi d’oro; senza parlare dei più antichi, quando si trovava, aprendo l’uscio di casa di mattina presto, miracolosamente il caldaino del latte messo in un angolino da un angelo che era passato nella notte; quel caldaino a cui faceva, interessato, la guardia il gatto.
Non avete perso nulla, solo un po’ di poesia.
I loro tempi d’oro, in cui erano con noi generosi di premure e di consigli. Il tempo in cui il nostro telefono li chiamava la mattina all’apertura del negozio e gli si confidava i nostri bisogni, le nostre malattie, gli affanni e anche, a volte, i nostri segreti.
Venivamo da loro curati con l’invio della migliore bistecca, del più buon vino conveniente; per riaverci dai nostri esaurimenti. Ci curava più l’affetto di questo rapporto, che la qualità della merce. Non avete perso nulla, solo un po’ di poesia. E quando quel “villano” del loro garzone…!!! Ce ne combinava di confusione! Ci si arrabbiava perché, a volte, tradiva il tramite del nostro rapporto con il negoziante, che, solidale con noi, lo minacciava anche di licenziamento oppure gioivano con noi per la straordinaria abbondante ordinazione per un giorno di festa. E per telefono:
“Sciur Nino, incoo festegium i des an da matrimoni, alma manda…” e giù la lista, “ma ghe no bisogn subit”.
“Sciura, apena ma torna indré quel vilan, ul prim servizi l’è par le”.
Si, erano contenti quei nostri feudatari, perché quel giorno portavamo loro il nostro obolo abbondante e il loro guadagno cresceva; ma noi quel giorno non spendevamo altrettanto contenti?
In tutto questo ci univa un’allegria. E la piccola premura fatta per noi, quella piccola aggiunta, “la regalia”, o qualche cosa di utile per non farci uscir di casa una seconda volta.
Non ditemi che lo facevano anche per un altro.
Era l’illusione se volete, era la buona creanza di un compagno che avete perso. E dove li mettete i conti dei libretti lasciati indietro per i più poveri, quasi un po’ paternamente? Ora perché di poveri non ce ne sono, non ci pensate più? Pensate solo che loro erano ricchi? Ma questa è ingratitudine. E quando vi imbrogliavano?.. perché sono anch’essi uomini come gli altri, allora l’avevate lo sfogo di elevare le vostre pretese. Rimandavate la merce prima di pagarla, potevate avere quello sfogo chiarificatore perché i rapporti tornassero normali e sereni col vantaggio di essere serviti meglio la volta prossima.
Ora, proprio nella bocca del pescecane, inforchiamo gli occhiali, un po’ sospettosi, per scrutare la merce, sempre assicurata da inappuntabile garanzia, ma un po’ diffidenti del suo mutismo. Alcune volte vedo ancora qualcuno cercar consiglio a chi del mercato si intende più di lui. Consiglio cercato per umana ragione, di cui a casa ci pentiremo per la nostra diversa opinione sulla merce. Un compratore non può consigliare un altro compratore, magari ignoto, non sa nulla di lui. Tutt’al più lo potrà spingere, cortesemente, verso la cassa. Anche lui ha fretta di uscire da quel malinconico corteo di carrozzine, dove la sola nota gioiosa è quella data da un bimbo.
Quel bimbo che occupa un posticino assegnatogli, con praticità, sulla carrozzella della merce e degradato al livello della merce stessa. Sì, perché la nostra vita non ha più delicatezze, è convulsa, senza attimi di sosta, non vuole più consigli e consiglieri, tutto è meccanico, tutto è garantito da un bollo, a nulla si può elevare protesta, perché c’è la garanzia, non è ammessa l’umana ignoranza, tutto è regolato da un nastro scorrevole nel ventre del pescecane, gioia degli innocenti bimbi che lo prendono per un giuoco.
Così, nel mio umorismo un po’ sarcastico, vedo la cassiera afferrare quel bimbo dal carrello, scambiato per un pacchetto, rivoltarlo con il culetto in su per vederne il prezzo e sbatterlo con indifferenza nel nostro triangolo di posteggio della merce, per essere imborsato in un freddo, praticissimo sacchetto di plastica.
Il “tin” della cassa ci avverte dell’esigenza del denaro, la cortese cassiera, come tutti, aiuta a sbrigarci; il mostro sta sputando i numeri successivi. Non avete perso nulla, solo un po’ di poesia.
Non più il cordiale saluto mattiniero sulla soglia del negozio, l’interessamento ai nostri affanni, la gentilezza di aprirci una porta, la battuta di spirito più o meno indovinata; non più quel cordiale scambio confidenziale che allietava il dovere della spesa della donna di casa, che previdente con le sue borse personali evitava quel brutto sacchetto di plastica che sta imbrattando il mondo.
Oggi è tutto avvolto, impacchettato nel celophan, attraverso la sua scintillante adamantina trasparenza vediamo il mondo più bello, è l’ultima e giusta nostra illusione. La spesa una volta era femminile, più poetica. La donna di casa ritornando dal suo lungo doveroso giro di acquisti riportava in casa la gioia dei bisogni appagati. Che pena mi fa quell’uomo solitario che spinge il carrello metallico!
E’ un professionista. Non ha perso nulla, solo un po’ di poesia.
In un tempo non troppo lontano, qualcuno penserà che, una volta, per comprare il pane, simbolo divino e umano della nostra tavola, si andava dallo specialista panettiere, che a vista lo sfornava fragrante in cesti rustici e originali. Ci si recava con più calma dai singoli artigiani di fiducia di una società migliore, da favola.
Nessuno esclamerà più: “I me bei neguziant!”
Non avete perso nulla, solo la poesia.
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