INFEZIONI
I superbatteri degli ospedali
Viene abbreviato con tre lettere maiuscole KPC (Klebsiella Pneumoniae Carbapenemasi-produttrice) il superbatterio considerato dagli infettivologi un vero e proprio killer, dopo che è diventato nella metà dei casi resistente agli antibiotici.
Questo KPC è in testa a un plotone di altri batteri che stanno dilagando: Pseudomonas aeruginosa, Enterococco e Staphylococcus aureaus.
L’Italia è maglia nera per l’incidenza di queste infezioni, con una diffusione superiore alla media europea. Inoltre, i superbatteri stanno passando dagli ospedali alle residenze per anziani. Il rischio è di entrare in un’era post-antibiotica dove anche infezioni banali possono mettere a rischio la nostra vita.
Un’emergenza globale che insieme ai cambiamenti climatici e alla salute di genere, è stata argomento di discussione all’ultimo G7 dei ministri della Salute, tenutosi nei giorni scorsi a Milano.
«Se medici e pazienti non si impegnano a usare gli antibiotici in modo più appropriato, sarà difficile fermare l’avanzata dei superbatteri», avverte Claudio Viscoli, presidente della Società italiana di terapia antinfettiva.
L’Italia è uno dei Paesi con il maggior consumo di antibiotici. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, da qui al 2050 i superbatteri potrebbero essere responsabili di almeno 10 milioni di decessi annui.
Già oggi nel nostro Paese le infezioni di natura ospedaliera colpiscono 284mila pazienti l’anno (dal 7% al 10% dei ricoverati nei diversi ospedali), causando da 4.500 a 7.000 decessi.
Agli addetti ai lavori si raccomanda di migliorare le tecniche di diagnosi e cura, raccogliendo più dati microbiologici possibili per capire quali siano i germi resistenti che circolano nelle strutture ospedaliere e promuovere studi clinici condotti specificatamente sull’uso di nuovi antibiotici nelle terapie intensive.
Anche nelle strutture per lungodegenti e nelle case di riposo si crea l’habitat perfetto per la resistenza microbica a causa dell’affollamento, dell’uso massiccio di antibiotici e scarso controllo delle cause d’infezione.
Anche al di fuori delle strutture sanitarie la situazione è preoccupante: negli asili, nelle scuole, negli uffici e nelle fabbriche.
Oltre all’importanza di controllare i principali fattori di rischio con l’isolamento dei pazienti infetti, una frequente igienizzazione delle mani, la sterilizzazione degli strumenti nelle sale operatorie e il cambio dei filtri nei condizionatori d’aria, sono state fissate delle Linee Guida che sottolineano la necessità di trattare queste infezioni con un cocktail di antibiotici diversi, nella speranza che almeno uno funzioni.
Gli antibiotici vanno assunti sempre dietro prescrizione del medico, non per curare un raffreddore o un’influenza, rispettando le dosi prescritte e non interrompendo la cura prima del tempo prescritto.
Sul fronte delle terapie, qualche buona notizia l’abbiamo: dopo anni di stasi le aziende farmaceutiche sono tornate ad investire in questa ricerca. Nuove molecole sono già disponibili, altre lo saranno nei prossimi anni.
«Purtroppo, anche se abbiamo nuovi antibiotici molto validi, ci dobbiamo sempre confrontare con problemi regolatori - fa presente Matteo Bassetti, dell’Azienda sanitaria dell’Università di Udine - poiché queste molecole di cui avremmo un grande bisogno per alcuni tipi di infezione, ad esempio nelle polmoniti, da noi vengono approvate ma con indicazioni restrittive, diverse da quelle che sarebbero necessarie». (g.c.s.)
© Riproduzione Riservata