A VARESE
Il canile che non c’è. Ma che potrebbe esistere
Il suo lavoro è quello di formare persone in grado di fare gli educatori cinofili, ma la sua idea fissa sono sempre stati i canili. Tanto da scrivere, e autoprodursi, un libro in cui racconta la sua idea di «Canile 3.0» che ha usato anche come titolo. Per Luca Spennacchio, istruttore cinofilo e docente nelle scuole più conosciute d’Italia, è arrivato il momento di spostare la lente d’ingrandimento sulla gente comune che è poi l’origine e la fine del canile. E di questa idea parlerà domenica 27 al Teatro Santuccio di Varese alle 20.30 (ingresso libero, info info@dogscitypark.it).
Quando ha deciso di concentrarsi sui canili?
«In realtà il mio focus principale è sempre stato il canile. Fino ad oggi mi sono occupato di quelle persone che avevano un interesse professionale, ma credo sia arrivata l’ora di occuparsi di chi non sta con i cani per piacere. Negli ultimi 15 anni con la nascita della figura dell’educatore cinofilo, i passi avanti che si sono fatti in ambito professionale sono stati grandi, ma credo che la conoscenza del cane e la capacità di fare delle scelte consapevoli da parte delle persone “comuni” non abbiano fatto lo stesso salto. È dalla comunità che arrivano i cani abbandonati ed è nella comunità che si vogliono riportare».
A chi si rivolge con il suo libro?
«È di difficile collocazione. Da un certo punto di vista è narrativo perché racconto la mia esperienza, dall’altro è un libro di riflessione che induce a stimolare la curiosità, dall’altro ancora è un manuale di suggerimenti per chi lavora in canile e non solo. Il libro sta avendo molto successo, è già andato in ristampa. E come mi immaginavo, i lettori che hanno acquistato il libro non lavorano in canile».
Come mai?
«La maggior parte di coloro che lavorano in canile non sono esperti del cane e generalmente non leggono libri a tema, ma questo fa parte della questione che sollevo proprio nelle mie pagine. Come pretendo che chi si occupa di bambini ne sia un esperto, deve essere così anche per chi si relaziona coi cani con cui passano molto tempo e sono le uniche che gli animali vedono in canile. Dal mio punto di vista dovrebbero essere degli esperti, ma così non è. Il 3.0 del titolo è riferito a quando il passaggio culturale avverrà all’interno del canile, prima di pretendere di pretendere che le persone fuori dalla struttura diventino degli esperti di cani. Sono dell’idea anche le cose debbano in primis cambiare dentro il canile e da lì diffondersi. Non il contrario».
Dunque il problema è in chi gestisce il canile?
«Non mi sento di dare la responsabilità al gestore. Deve proprio cambiare il canile: oggi è un posto gestito in maniera improvvisata da chi non è consapevole. Il canile costa allo Stato un sacco di soldi, sarebbe ora che chi li gestisse lo faccia nel modo migliore possibile. La mia idea è che il comparto del canile dovrebbe essere composto da persone che siano poi in grado di dirigere bene i volontariati, che a loro volta devono essere formati per evitare che il loro operato, inconsapevolmente, sia di ostacolo all’obiettivo della struttura. E l’obiettivo finale, ricordiamocelo, è quello di riportare il cane in comunità».
Oggi chi sono i volontari del canile?
«Per la maggior parte dei casi sono persone che appena possono vanno a fare qualche carezza a un cane o a pulire, tutte cose bellissime, ma in realtà hanno anche delle responsabilità sulla vita degli animali. Quello che fanno in canile ricade sulle spalle del cane: se commetto degli errori o insegno al cane, in modo consapevole o meno, determinati comportamenti, lui li assumerà come propri e quando uscirà dalla struttura sicuramente li riprodurrà. Questo potrebbe essere causa di un rientro immediato in canile».
Ci fa un esempio?
«Banalmente ci sono tre comportamenti per cui le persone spendono dei soldi da un educatore cinofilo: saltare addosso, il cane che abbaia e il cane che tira al guinzaglio. Tre comportamenti che se un cane non possiede di suo, quando entra in canile impiega pochissimo ad imparare. Detto ciò ci rendiamo conto che se il tempo passato in canile è peggiorativo, noi stiamo rendendo difficile per quel cane il rientro in famiglia. Nella struttura dovrebbero confluire le persone appassionate di cani e di conseguenza dovrebbe essere connaturata la formazione. Se sono davvero appassionato di qualcosa, vado a farmi dei corsi, a seguire conferenze».
Com’è la situazione dei canili in Italia?
«A seconda di dove si è, le cose cambiano. In linea di massima nel centro nord Italia la maggior consapevolezza e la possibilità di fare formazione ha fatto sì che nei canili ci siano sempre più persone preparate a cui però è stata resa difficile la vita. Sulla gestione ci sono esempi positivi come il parco canile di Milano oppure l’Enpa di Voghera. Il grosso problema però è il malaffare, il canile può diventare una fonte di denaro cospicua e un legame con la malavita. Se spendi poco per i cani e accumuli i soldi che ti vengono dati, alla fine dell’anno si hanno un bel po’ di soldi. Inoltre le strutture progettate oggi sono diverse dagli anni Cinquanta quando nacque il canile, si dà maggiore spazio al benessere dell’animale come vuole la legge 281 del 1991. Quello che lamento io è che dal 1991 ci si è concentrati a costruire strutture comode senza pensare che il vero problema era quello invece di diminuire gli abbandoni e aumentare le adozioni con un cambiamento culturale. Questo era il vero lavoro da fare». (s.m.)
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