IL PERSONAGGIO
Il girovago che pedala sulle acque
Il fotografo Alberto Bortoluzzi in viaggio tra parole e immagini, un’impresa che diventa un libro
Alberto Bortoluzzi, di tanto in tanto, apre il libro dei sogni, lo sfoglia e ne stacca una pagina. L’arrotola e se la mette in tasca, per leggerla poi con calma e progettare l’impresa. Cose che un umano normale stenta a immaginare, ma per lui sono il sale della vita, persa dietro la snervante quotidianità dell’artista in cerca di condivisione e affermazione.
Così è capitato che lo scorso anno il fotografo varesino ne abbia pensata un’altra della sue, e progettato un viaggio in bicicletta da Varese alla Camargue, in parte su strada e in parte percorrendo laghi e fiumi pedalando sull’acqua, grazie allo Shuttle Bike messo a punto da Roberto Siviero di Vigevano. Per non farsi mancare niente, il percorso prevedeva pure la salita al passo del Sempione e la discesa del Rodano con temperatura al suolo di circa 40 gradi, perché l’estate 2015 è stata caldina.
Missione compiuta, perché quando il nostro si mette in testa una cosa, quella deve essere. Così il reportage dell’impresa, compiuta nei tempi previsti, una quindicina di giorni, con tappe quotidiane da 80-90 chilometri, è diventato un libro, realizzato ed editato in proprio, dal titolo emblematico della “way of life” bortoluzziana: Io ci provo!(pp. 158, euro 15, in vendita da Feltrinelli e, su richiesta, all’autore scrivendo a: info@albertobortoluzzi.com).
Splendida la fotografia di copertina, con Alberto-marziano e galleggiante sulle acque del lago Maggiore grazie ai canotti dello Shuttle Bike, bardato con go-pro, salvagente e guantini, ma con il sorriso grande e il polpaccio tonico. Il libro si legge a morsi, Alberto non sarà Bruce Chatwin, ma la sua è una prosa al contempo vigorosa e gentile e la narrazione procede spedita e ci pare di esser lì sull’ammiraglia - come avviene nelle grandi classiche del ciclismo - a seguirlo passo passo mentre suda in salita, passa sotto il celeberrimo Pont d’Avignon, pedala per chilometri di sera alla ricerca di un alloggio o si concede un rösti e una birra dopo la scalata del Sempione, 4 ore e 53 minuti di agonia.
Lo strano essere anfibio che scivolava sul Rodano suscitava curiosità e stupore, ma anche un po’ d’invidia, e il malanimo dei guardiani delle chiuse che gli impedivano il transito perché non omologato.
Gli imprevisti non sono mancati, come racconta Bortoluzzi: «Se nel tratto svizzero il Rodano aveva una bella energia, in quello francese l’acqua è ferma, a tal punto da far fatica a capire quale sia la direzione della corrente. Addio sogni di averla come alleata! Supero le raffinerie alla periferia di Lione e monto il mio kit a Givers. Pochi chilometri dopo la partenza ecco il primo intoppo: uno dei due galleggianti, quello destro, seppure molto lentamente si sta sgonfiando. Che abbia bucato? Il mio sguardo scruta gli argini alla ricerca di uno scivolo per risalire. Per fortuna ho portato con me due galleggianti di riserva, un po’ più corti ma che mi consentono di proseguire».
Fino alla meta, raggiunta anche grazie all’aiuto della moglie Nadia, curatrice della logistica, che lo ha seguito in automobile nella parte finale del percorso.
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