FABRIZIO BESNATI
Il varesino che sceglie i Clippers
Dalle giovanili con Meneghin alla Nba: «Fortuna e fiuto per il talento»
Fabrizio Besnati racconta il suo ritorno a Varese in veste di scout dei Los Angeles Clippers. Il 43enne direttore dello scouting internazionale per la franchigia californiana dove milita Danilo Gallinari, ha fatto ritorno domenica scorsa nella sua città natale per seguire la sfida tra Varese e Capo d’Orlando, accompagnando il direttore del personale giocatori Johnny Rogers - altra vecchia conoscenza dei tifosi biancorossi, giocò nell’allora Ranger versione 1992-93 - per seguire alcuni elementi della Betaland:su tutti la 19enne ala lituana Arnoldas Kulboka. Besnati, prodotto del vivaio della Pallacanestro Varese - fu compagno alle giovanili di Andrea Meneghin - con trascorsi nelle minors tra C1 e C2 (Castelletto Ticino, Legnano, Tradate e Cassano Magnago), lavora ormai da 12 anni per il club che in estate ha fatto sbarcare in Nba Milos Teodosic anche grazie al contributo del dirigente varesino, che risiede da quasi 10 anni a Belgrado ed è amico del trentenne regista ex Cska Mosca. E di passaggio dal PalA2A, dove ciclicamente è ospite quando transitano giovani prospetti in altri club (nel 2015-16 seguì il bosniaco Nedim Buza di Ostenda), esprime la sua opinione sulla squadra di Caja: «Ho visto una squadra molto grintosa, con grande intensità in difesa: non avevo mai visto dal vivo Varese quest’anno, l’impressione è quella di un gruppo molto coeso che non può prescindere dall’intensità in retroguardia per spingere molto in contropiede ed esaltare le sue doti operaie. Non ci sono elementi che spiccano particolarmente per il loro talento individuale, però mi sembra una squadra che giocando con la stessa energia con cui ha travolto Capo d’Orlando possa togliersi qualche soddisfazione».
Dalle giovanili di Varese ai Los Angeles Clippers: come si inizia a fare lo scout Nba?
«Servono tanta fortuna, tanti contatti e la capacità di riconoscere il talento; io avevo fatto un anno di high school negli Stati Uniti, mi hanno aiutato la conoscenza della lingua e i contatti che mi sono creato partecipando a camp in America nei quali ho conosciuto tanti allenatori. Come si scoprono i talenti? Io ho abitato a lungo negli States vedendo tanta Ncaa e tanta Nba, è fondamentale padroneggiare il metro di giudizio per capire se un giocatore è adatto a giocare tra i professionisti o è più adatto all’Europa, dove spesso servono qualità diverse per emergere».
Che tipo di giocatori segue uno scout Nba che si occupa del reclutamento internazionale?
«Si guardano profili di vario tipo: il target principalmente è giovane, però da qualche anno si osservano anche stranieri, principalmente americani. Il lavoro si svolge lungo tutto l’arco della stagione, c’è particolare attenzione sulle giovanili anche in estate. In particolare per gli eventi internazionali. Si lavora nell’ottica di draft, ma ultimamente c’è molta tendenza delle squadre Nba a guardare gli americani che giocano in Europa da 1 o 2 anni dopo il college, magari non pronti al momento in cui sono eleggibili per le scelte ma che migliorano in campionati comunque probanti e possono essere rivalutati sia in chiave Nba che nella lega di sviluppo G-League».
Il basket italiano gode ancora di buon credito a livello Nba?
«Ha ancora un buon appeal: rispetto a quando ho iniziato a svolgere questa professione vengo meno spesso, soprattutto perché a livello di giovani c’è decisamente poco rispetto ad altri paesi. Però è sicuramente una delle leghe da monitorare per lo sviluppo degli americani giovani».
Lei risiede a Belgrado, ha sentito parlare del reclutamento giovanile in Serbia della Pallacanestro Varese?
«Ne ho solo letto ma non conosco i dettagli. Da varesino che vive in Serbia confermo che quello è un grosso bacino di talenti che sono molto affamati; non so però se possa essere una buona cosa per il basket italiano: si rischia di togliere spazi ai prodotti locali».
© Riproduzione Riservata