IL PERSONAGGIO
Il varesino di Glasgow
Luca Serra, scrittore, racconta la sua America con “Il sole in polvere”, in corsa per il Premio Augusta
Nato nel 1987 a Varese, vive e lavora a Glasgow, in Scozia, e ha scritto un libro, “Il sole in polvere”, edito da 96 rue de-La Fontaine, in cui racconta l’America o, più correttamente, l’altra America. Luca Serra lo fa prendendo spunto da un “diario di bordo”, un viaggio con un amico. In gara al Premio Augusta, il romanzo - il primo, dopo alcuni racconti - verrà presentato pubblicamente dall’autore a maggio al Salone del Libro di Torino.
Per prima cosa, come vive un varesino in Scozia e quanto la manca sua città?
«Si vive bene, gli scozzesi sono socievoli, Glasgow ed Edimburgo città sempre in espansione con molte iniziative culturali e opportunità soprattutto per i più giovani. Quello che mi manca, a parte amici, famiglia e cibo, è la possibilità di partecipare alle iniziative del nostro territorio. Soprattutto ora che ho pubblicato il libro, vorrei poter incontrare altri scrittori, lettori e librai».
Scrivere significa riaffermare il rapporto con l’Italia?
«Sicuramente.Mi sento più vicino all’Italia ora di quanto non lo fossi prima di andare all’estero. Vivere fuori aiuta ad avere un punto di vista più imparziale e ragionato. Credo che la nostra lingua sia la più bella e complessa del mondo, dunque perché mai voltarle le spalle?».
“Il sole in polvere” è romanzo on the road; in linea con la sua filosofia di vita?
«C’è una parte del romanzo che dice, in sostanza, che se si potesse estendere all’infinito il momento in cui si lascia un posto per raggiungerne uno nuovo, si potrebbe finalmente ottenere la felicità completa. La curiosità di scoprire luoghi e gente nuovi è quello che mi motiva e mi dà più entusiasmo in assoluto. Non avevo mai pensato di scrivere un romanzo on the road, è successo in modo abbastanza naturale, forse suggerito proprio da questa mia filosofia di vita». La scelta dell’io narrante?
«Ho scritto un paio di racconti con l’io narrante, prima de “Il sole in polvere“, è il mio stile preferito, instaura immediatamente un rapporto stretto con il lettore. Avevo sentito dire che la terza persona è più facile, trovo che per me sia l’opposto».
Sembra piacerle l’altra America, quella dei perdenti; una scelta di campo?
«Mi piacciono le storie di perdenti perché sono molto spesso sincere e trovo affascinante indagare sulla vulnerabilità delle persone e sulle loro emozioni più intime. Per questo romanzo mi sono ispirato soprattutto a Salinger e Steinbeck, la loro letteratura è piena di perdenti che cercano il loro posto nel mondo e raramente si arrendono. Mi piace quindi vedere come i personaggi si evolvono e assistere ai loro cambiamenti. In questo romanzo in particolare volevo raccontare l’America più profonda, spesso dimenticata, ma forse la più vera».
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