L’ADDIO
La lezione di Lorenzo
Una folla ha accompagnato il quindicenne vittima di un incidente stradale. Il parroco: «La distrazione può portare alla distruzione»
«La distrazione può portare alla distruzione».
Che don Franco Trezzi non stesse parlando solo (o affatto) del mero motivo dell’incidente stradale che ha spento i vitalissimi quindici anni di Lorenzo Mazzini lo si è capito dalla stragrande maggioranza dei suoi ascoltatori. Tutti assiepati nella Parrocchiale di Sant'Andrea, in cerca della parola che scardina il dolore e che traguarda lo sguardo irriverente di Mazzo nell’infinito quotidiano di chi l’ha conosciuto.
C’erano anche adulti, tanti, tantissimi, parenti, insegnanti, amici, conoscenti, col sindaco e il gonfalone del Comune di Cocquio Trevisago, con gli assessori della Provincia e della Comunità montana, come capita quando muore «qualcuno d’importante».
Che Lorenzo lo sia già stato a 15 anni «importante» è un dato di fatto che chiude per sempre quel retorico aggettivo funebre che è «prematuro»: gli uomini non sono yogurt, non hanno una scadenza prefissata.
Lorenzo ha vissuto anche la stagione dei suoi quindici anni senza lesinare un briciolo della propria vitalità: che ci fosse da correre, da disegnare, da lanciare un frisbee ma anche da incazzarsi, da confidarsi, da ribellarsi e fare pace.
Il suo talento per la vitalità ha brillato per mesi nel ciuffo verde cancellato proprio il giorno di prima di morire.
«Lorenzo era originale - ha detto il parroco nell’omelia - ma nella sua ultima estate all’oratorio, in lui soprattutto ho visto un ragazzo con un passo da adulto, che rispondeva in prima persona a una responsabilità: quella di aprirsi ad un bene più grande nell’accudire i più piccoli con quella trasparenza dell’animo che i bambini cercano e sentono».
I suoi compagni della II B del Liceo artistico Frattini, confusi ai loro coetanei dell’oratorio di Cocquio e agli ex compagni delle primarie, hanno annuito senza muovere la testa.
Hanno fatto altrettanto gli adulti stretti a mamma Anita, a papà Carlo e a Sara, «il mio fratellino Sara» scherzava Lorenzo, che ha lasciato orfani di sé anche un cagnolino e un drago barbuto battezzato Zelda: «Lo sai - ne aveva riso con gli amici - che Zelda mi ha baciato?».
Oggi, mercoledì 28 settembre, nel rito di passaggio buono per chi resta e per chi crede, il bacio più grande che Lorenzo abbia mai ricevuto, è stato affidato a labbra che avevano forma di palloncini colorati, a un abbraccio grande come il cielo e a uno schiocco che è stato l’ultimo, lunghissimo applauso che ha frantumato la cortina dolorosa del silenzio.
Un applauso che ha contagiato mani e che continuerà a fare rumore nelle orecchie di chi l’ha ascoltato o se l’immagina adesso.
A questo rumore forte come le vite che incrociamo e in cui ci perdiamo e ritroviamo forse alludeva don Franco. Perché certi rumori aiutano a non distrarsi. Aiutano a non distruggersi.
Aiutano chi resta a vivere nel segno di un ragazzo morto solo per i distratti.
Ampi servizi sulla Prealpina di giovedì 29 settembre.
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