Ue
La lotta di Nadia e Lamia per riconoscimento del genocidio yazida
Alle due giovani ragazze assegnato il premio Sakharov 2016
Roma, 27 ott. (askanews) - Hanno vissuto mesi di incubo, ridotte in schiavitù, torturate e stuprate dai jihadisti dello Stato islamico, prima di riuscire a fuggire e diventare il volto della lotta in difesa del loro popolo, gli yazidi, minacciato da un vero e proprio genocidio. Sono Nadia Murad e Lamia Haji Bashar, 23 anni la prima e 18 la seconda, due anni più giovani quando vennero rapite nel loro villaggio di Chocho, nel nord dell'Iraq, e portate a Mosul, conquistata dall'Isis. Oggi il Parlamento europeo ha deciso di assegnare loro il Premio Sakharov 2016 quale riconoscimento della loro battaglia in nome della "libertà dello spirito".
Nadia Murad, anche candidata al Premio Nobel per la Pace e dal
settembre 2016, è stata nominata a metà settembre ambasciatrice
dell'Onu per la dignità dei sopravvissuti alla tratta di esseri
umani. Da quando ha ritrovato la libertà, la giovane donna ha dedicato tutte le sue energie per far conoscere al mondo la tragedia delle persecuzioni contro gli yazidi - comunità curda che professa un'antica religione con oltre mezzo milioni di fedeli concentrati nella provincia di Sinjar al confine tra Siria ed Iraq - chiedendo che vengano considerate un genocidio.
"La prima cosa che hanno fatto è stata costringermi a convertirmi all'Islam", ha raccontato Murad in un'intervista alla France Presse. Prigioniera degli uomini del califfo, Murad viene costretta a sposare un jihadista. "Non ce la facevo più a sopportare stupri e torture", ha raccontato la ragazza, per spiegare come avesse deciso di fuggire rischiando la morte. Nell'assalto dei jihadisti al villaggio, Murad ha perso la madre e sei fratelli e sorelle. Poi, una volta fuggita, ha raggiunto un campo sfollati in Kurdistan, dove poi ha contattato una ong yazida che l'ha aiutata a raggiungere la Germania e a ritrovare una sorella.
Anche Bashar è stata rapita a Kocho quando aveva appena 16 anni. "Si tratta di una donna straordinariamente forte che ha sopportato cose che non augurerei a nessuno", ha spiegato uno psicologo che l'ha aiutata in Germania, Jan Kizilhan. "Molti dei suoi parenti e conoscenti più stretti sono stati uccisi davanti ai suoi occhi dallo Stato islamico prima che fosse catturata, asservita, venduta più volte e ripetutamente violentata assieme ad altre ragazze yazide". Dopo 20 mesi di prigionia e diversi tentativi di fuga falliti, Bashar è riuscita ad arrivare a Kirkuk con alcune compagne, ma una di loro è saltata su una mina che l'ha uccisa, mentre Bashar ha perso un occhio e ha subito gravi ustioni al volto e al corpo.
Adesso Bashar vive in Germania con una sorella e riesce di nuovo a camminare autonomamente. Sogna di diventare un'insegnante di scuola elementare e di rimanere in Germania.
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