IL LIBRO
La vita straniera del sergente Turner
Più poeta che scrittore, l’ex marine racconta com’è cambiato girando di guerra in guerra
«Forse il punto non è tanto che è difficile tornare a casa, quanto che a casa non c’è spazio per tutto quello che devo portarci. L’America, smisurata ed estesa da un oceano all’altro, non ha abbastanza spazio per contenere la guerra che ognuno dei suoi soldati porta a casa. E anche se ne avesse, non vorrebbe».
Brian Turner è uno dei soldati americani che, tornato a casa dopo sette anni al servizio del suo paese, tra Bosnia, Iraq, medio ed estremo Oriente, porta con sé, inevitabilmente, anche la guerra.
La guerra è parte della sua vita, ormai.
In fondo, lo è sempre stata, lui che è figlio e nipote di soldati americani. Ora però ha anche la sua guerra, quella che non lo lascerà mai, quella che renderà la sua vita, per sempre, un paese straniero.
La mia vita è un paese straniero è infatti la traduzione italiana del titolo originale del suo libro, My life as a foreign country. Terminata la lettura, mi sono chiesta che cosa volesse dire Turner con questa metafora, lui che dopo essere stato un marine è diventato un poeta di successo e che quindi, se sceglie una parola, non dev’essere per caso.
Forse vuole dire che la sua vita resterà per sempre un territorio sconosciuto da esplorare, ma non credo, perché varrebbe per chiunque.
Piuttosto credo che si riferisca al fatto che, dopo un’esperienza così pregnante quale quella da lui vissuta nelle varie missioni militari in cui è stato coinvolto, la sua vita resterà sempre e comunque là, in quelle terre sconosciute dove in ogni momento si è trovato in pericolo e dove in ogni momento lui stesso era un pericolo per gli altri.
La guerra non finisce mai per chi l’ha vissuta in prima persona, rimane latente semmai, pronta a riemergere nei momenti all’apparenza più tranquilli e sereni della vita quotidiana.
Turner vive con queste visioni, e vive anche con le visioni della guerra del suo bisnonno, di suo nonno, di suo padre e dei suoi compagni, che in questo libro si confondono le une nelle altre, così come si fondono vita reale, ricordi e visioni allucinate.
La mia vita è un paese straniero non è un romanzo, non è un diario, tecnicamente non credo nemmeno si possa definire un libro di memorie. A me è sembrato un flusso di coscienza, un libero fluire di pensieri e ricordi talvolta angoscianti, talvolta asettici, talvolta onirici.
Brian Turner resta però innanzitutto un poeta, e quando scrive in prosa, come in questo caso, non riesce comunque a smettere di poetare. Certo è che il Sergente Turner sa scrivere davvero, anche se io non ho trovato poi così pertinente l’accostamento con Hemingway, che pure in molti hanno avanzato. Piuttosto, leggendolo, a me è venuto in mente Ungaretti. E non è, appunto, un caso.
La mia vita è un paese straniero non è un libro facile, ma è un libro da leggere.
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