KENGIRO AZUMA
L’arte di un ex pilota kamikaze
Doveva sacrificare la propria vita per l’Imperatore come pilota-kamikaze della Marina militare imperiale. Ma la seconda guerra mondiale per il Giappone finì poco prima della sua missione suicida. «È vero?» chiediamo a Kengiro Azuma. «Sì è così», ci risponde. «Allora cosa ha fatto?» «Sono morto», è la risposta secca di Azuma. L’Imperatore non era più una divinità avendo dichiarato la sua natura umana. Il mondo crollò addosso al pilota come a gran parte degli abitanti del Sol Levante che cercarono vie diverse per dare un nuovo senso alla propria vita. Lui la trovò nell’arte.
Riallacciandosi alla tradizione famigliare della lavorazione del bronzo, studia scultura all’Università Nazionale di Tokyo sulle tracce dell’arte francese tra Otto e Novecento. Ma guarda caso, s’entusiasma per l’opera del nostro Marino Marini al punto d’incontrarlo a Milano all’età di trent’anni, nel 1956, grazie a una borsa di studio del Governo Italiano. E rimane tra noi fino ad oggi che ha novant’anni.
La sua parabola umana e artistica è ricordata con una mostra e il catalogo a Comabbio, la cittadina in cui soggiornò gli ultimi anni Lucio Fontana, che accolse con simpatia il giovane Kengiro, non mancando di dargli alcuni consigli da maestro qual era. L’esposizione suggerita dal fotografo sestese Gian Barbieri, che ha in mostra due immagini dell’artista, allestita da Massimo Cassani assistito dall’architetto Ambrogio Azuma, figlio di Kengiro, si apre con la scultura del 1956, «Nudo», la prima del corso all’Accademia di Brera con Marino Marini, alle cui «Pomone» s’ispirò inizialmente Azuma.
Vengono poi cinque bronzetti dello «zoo zen», 1965, che stilizzano nelle forme dalla beccaccia al rospo, e anticipano la personalissima cifra (della seconda metà degli anni ‘60 e dei ‘70) dei «MU» e degli «YU», «che nella filosofia Zen - osserva l’artista - significano in ideogrammi giapponesi, il vuoto e il pieno, l’infinito il finito, il positivo e il negativo, gli opposti, come la vita e la morte». Quindi, le nove sculture orientate alla ricerca del concetto di vuoto «MU», «vuoto che può contenere l’infinito, una moltitudine di cose materiali e immateriali».
Le sculture hanno corrispondenze nei «MU D», studi a matita su carta dal segno pulito e leggero, diversamente dalla serie «MU P», gli espansi, liquidi e vorticanti segni ideogrammi a inchiostro nero e pennello giapponese con spray argento e nero su carta, del 1999.
Diverse le litografie degli anni ‘70 su fondi monocromi intensi, così come quelle con sagome colorate e scritte che sviluppano nello spazio le «sculture forma filosofia»; o quelle più tarde di concetti quali «La vita mano» e la «Goccia d’acqua». Perché nei ricordi dell’artista-poeta» il tempo è passato / una goccia d’acqua fa nascere / un grande fiume / una piccola barca naviga / faticosamente / questa forma è una goccia d’acqua / è una barca / tenuta nella mano contiene il vuoto / sentire il tempo che scorre / il prezioso MU suona in eterno».
«Azuma. Disegni, grafiche, sculture» - Comabbio, Sala comunale Lucio Fontana, via Garibaldi 560, sino al 23 ottobre sabato e domenica ore 10-12.30 e 16-18.30, ingresso libero.
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