L’INDAGINE
Lidia, tra scienza e mistero
Nuove analisi alla ricerca del Dna dell’assassino. E domenica 5 febbraio messa in suffragio a Casbeno
Ora che un uomo, Stefano Binda, sarà processato per la morte di Lidia Macchi, ora che la giustizia terrena farà il suo corso, dopo trent’anni, non si è perduta la speranza che anche la scienza, quella che all’epoca non poté consegnare il profilo genetico dell’assassino perché il Dna era ancora un mistero solo in minima parte svelato, possa dare un contributo essenziale a dire chi è stato ad assassinare la studentessa ventenne.
C’è un reperto che può essere ancora esaminato, tra i pochi conservati dopo la distruzione della maggior parte dei “vetrini”. disposta dall’allora gip Ottavio D’Agostino.
Un piccolo lembo di tessuto (una parte dell’imene di Lidia) conservato sotto paraffina. Esaminarlo di nuovo - una prima indagine è stata compiuta nel 2015 dal professor Carlo Previderé, biologo del Dipartimento pavese di Medicina legale e Scienze forensi -, com’è facile intuire è di fondamentale importanza, poiché potrebbero essere trovate tracce biologiche (sperma) appartenenti all’assassino e finora mai individuate.
Una analisi “stratigrafica” del tessuto verrà condotta su indicazione dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo, a capo del Labanof (il Laboratorio di antropologia e odontologia forense dell’Università di Milano), uno dei periti, insieme ai Ris di Parma, che cerca di dare una identità all’assassino attraverso le tracce che può avere lasciato sul corpo di Lidia.
Il piccolissimo reperto era stato prelevato dal professor Mario Tavani, il medico legale che ha perlustrato per giorni il luogo del ritrovamento del cadavere di Lidia (il 7 gennaio ‘87 al Sass Pinì) e che ha condotto l’autopsia, senza tralasciare nulla, per quanto la scienza consentisse indagare, nel 1987. Prima conservato nella Medicina legale di Varese, poi in quella di Pavia, il reperto si è salvato dalla distruzione e oggi, a distanza di trent’anni, potrebbe forse aiutare a tracciare il profilo genetico dell’assassino.
«Oltre che su questo reperto, contiamo sui risultati che l’analisi di capelli e peli e delle unghie potrebbe dare», dice l’avvocato Daniele Pizzi, legale della famiglia Macchi.
In particolare i frammenti delle unghie della giovane (che si sono conservati meglio di quanto si potesse immaginare) potrebbero custodire ancora tracce dell’assassino, «poiché Lidia potrebbe aver graffiato il suo aggressore nel tentativo di difendersi».
I risultati degli accertamenti condotti dagli esperti potrebbero arrivare anche a processo già iniziato (il 12 aprile Binda comparirà davanti alla Corte d’Assise di Varese).
«Si tratta infatti di accertamenti che rientrano nell’incidente probatorio disposto dal gip Anna Giorgetti - conclude l’avvocato Pizzi - e a nome della famiglia Macchi ringrazio l’ufficio Gip di Varese per la grande attenzione e anche il dispendio economico che sta affrontando per consentire tutti gli accertamenti necessari che portino alla verità».
La giovane sarà ricordata con una messa, a trent’anni dalla scomparsa, domenica 5 febbraio, nella chiesa di Casbeno (ore 11) nel rione dove viveva e dove abita ancora Paola, la mamma di Lidia.
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