SETTE GIORNI
Lo shopping emozionante
Meglio incantarsi davanti al chiaroscuro caravaggesco in un museo oppure incendiare la vanità davanti a una giacca destrutturata in un centro commerciale? I rispettivi cultori della materia risponderanno che non c’è paragone. Ma il dilemma resta, ciclicamente riproposto e mai risolto: si tratta di capire se l’Italia è una Repubblica fondata sul turismo oppure sulla famiglia. Nel primo caso lo sciopero pasquale di commesse e commessi al mega outlet di Serravalle Scrivia va considerato un danno, nel secondo va considerato un valore. La possibilità di fare shopping anche nei giorni delle festività consacrate è pienamente giustificata se pensiamo a come si comportano gli italiani quando vanno all’estero: ci dilettiamo nello shopping e non ci poniamo certo il problema se quel giorno è martedì, domenica oppure Natale. Anzi, di fronte alle saracinesche abbassate veniamo colti da un certo stupore. I turisti che arrivano in Italia chiedono lo stesso trattamento: musei aperti, mangiare bene e libero shopping.
Che cosa c’è di scandaloso in questo? Nulla, se non fosse che chi lavora la domenica o durante una festa comandata non viene adeguatamente ripagato per lo sforzo di stare lontano dalla famiglia, con il risultato di alimentare la frustrazione professionale e minare la vita privata. Zero incentivi o, nella maggior parte dei casi, paghe inique a fronte di contratti a tempo determinato e trimestrali. Prendere o lasciare.
La liberalizzazione totale dell’apertura dei negozi introdotta nel 2011 dal Governo Monti non è dunque servita a creare un modello sostenibile di commercio per città più vivibili, ma ha esaltato le antiche contrapposizioni tra datore di lavoro e lavoratore, con il coltello dalla parte della lama che scivola sempre nelle mani di quest’ultimo. Il divieto alle commesse di sedersi sulle panchine durante la pausa sigaretta, come denunciato durante il clamoroso sciopero pasquale a Serravalle, è emblematico.
Liberalizzati ma non liberi. Avere portato all’estremo la filosofia del consumo ha penalizzato proprio chi, con il sorriso e la professionalità, dovrebbe condurre la clientela verso lo “shopping emozionante”.
La contraddizione diventa palese il Primo Maggio, quando i diritti dei lavoratori conquistati attraverso dure battaglie vengono festeggiati vendendo camicie-scarpe-borse alla stregua di un servizio essenziale come la sanità o i trasporti. Nel 2011 vi fu la rottura dell’argine, a Milano, quando il Comune autorizzò l’apertura dei negozi in quel giorno intoccabile: sembrò un oltraggio. Ora è il copione di un film già visto. Alcuni centri commerciali sono aperti 24 ore su 24, il che è un vantaggio per chi esce di casa prestissimo per andare al lavoro e torna a casa tardissimo ma, con tutto il rispetto, è anche la presa d’atto che la famiglia del mulino bianco non esiste più ed è inutile tenerla in vita artificialmente. Si può fare la spesa anche alle 2 di notte, perché no? Peccato che la stessa catena della grande distribuzione che in Italia sta scommettendo sul lavoro notturno non faccia lo stesso in Francia, in Patria, dove questo tipo di liberalizzazione è vietata. Italia, insomma, terra di conquista. Grande distribuzione, banche, assicurazioni, telecomunicazioni.
Nemmeno i sindacati sono riusciti a invertire il corso di questo fiume in piena, forse troppo concentrati a tamponare di volta in volta le falle della barca anziché pilotarla verso un tavolo di confronto ad ampio raggio con le controparti aziendali e le istituzioni.
Urlare slogan e sventolare bandiere suscita ormai ben poche emozioni, come del resto hanno dimostrato i quindicimila clienti italiani e stranieri entrati nel mega outlet piemontese nonostante la manifestazione di protesta: se l’antica liturgia sindacale dovesse ripetersi anche il prossimo imminente Primo Maggio sarà un’altra occasione perduta. È il momento, ormai, di mettere in discussione le nostre tradizioni a favore di un approccio multidisciplinare alla materia: sì a negozi e outlet aperti nei giorni di festa solo se sono aperti anche i musei e se chi lavora in quei giorni viene adeguatamente pagato (e assunto con contratti veri). A quel punto sarà inutile chiedersi se è meglio il chiaroscuro caravaggesco o la giacca destrutturata: si potrà godere di entrambi senza sentirsi in colpa.
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