PAVIA
Longobardi: invasori o migranti?
Quella longobarda fu un’invasione o una migrazione? Il loro arrivo nelle provincie di un impero romano ormai allo stremo fu un incontro di culture o uno scontro di civiltà, occasione di sviluppo o catastrofe? Dal Risorgimento i Longobardi sono stati evocati alternativamente come distruttori dell’unità italiana o come coloro che cercarono di ricostruirla su nuove basi dopo il crollo dell’impero. Queste domande tornano di pressante attualità (e gli storici ancora discutono) in un’epoca, come la nostra, segnata da flussi nomadi, di migranti e rifugiati.
Quello che è certo è che il 568, anno dell’invasione longobarda, segnò un cambiamento epocale. «Fu un deep impact - afferma Federico Marazzi, curatore della mostra «Longobardi. Un popolo che cambia la storia» al Castello Visconteo di Pavia, - frutto di una calata pesante da parte di una cultura militare decisa ad affermarsi con la forza ma anche con la diplomazia. Ma soprattutto fu lo spostamento di un popolo intero; è come se, per assurdo, la popolazione dell’Algeria di oggi decidesse di invadere l’Italia».
Come si legge nel saggio introduttivo in catalogo la riflessione che la mostra propone ha dunque valore anche per l’Europa di oggi «contraddistinta, come allora, da processi migratori che ne mettono in discussione equilibri sociali e culturali, da una marginalizzazione dell’Italia (e dei paesi mediterranei) rispetto all’Europa settentrionale, nel quale la Germania ha assunto un ruolo egemone».
Grazie alle ricerche condotte negli ultimi anni sull’Italia longobarda, è stato acquisto un corposo quadro di dati che aiuta il vivace dibattito storiografico sul problema dell’identità italiana moderna, frutto di una stratificazione in cui si intreccia anche l’eredità longobarda che in Lombardia si rintraccia in alcuni toponimi e termini di uso comune ma soprattutto in numerose evidenze monumentali, alcune delle quali riconosciute dall’Unesco come patrimonio dell’umanità.
LA MOSTRA
Guerrieri possenti dalle lunghe barbe, mai toccate da rasoio. Così il monaco Paolo Diacono, autore della famosa «Storia dei Longobardi», descrive il suo popolo. Etnia di origine germanica e nomade che, calata dalla foce dell’Elba varca le Alpi Giulie e inizia la sua espansione sul suolo italiano, crocevia strategico tra Occidente e Oriente.
L’anno dell’invasione, il 568, segna uno spartiacque della storia d’Italia, destinata a cambiare proprio in seguito agli stravolgimenti e agli squilibri portati dai Longobardi in una società ormai sfibrata dalla fine dell’impero romano e dalla lunga guerra greco-gotica.
È questo il punto di partenza e il filo conduttore di una grande mostra appena aperta nelle scuderie del castello di Pavia, curata da Gian Pietro Brogiolo e Federico Marazzi, coadiuvati da un pool di specialisti e possibile grazie alla collaborazione internazionale tra i Musei Civici di Pavia, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli e il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo, che a turno ospiteranno l’evento. Il percorso, nell’allestimento colorato e accattivante di Angelo Figus, presenta 300 opere (molte mai esposte) da 80 enti prestatori per 500 pagine di catalogo (Skira) che offrono i risultati di 15 anni di ricerche archeologiche (con innovativi strumenti di indagine), epigrafiche e storico-politiche su siti e necropoli altomedievali.
Pavia torna così a essere capitale del regno della Langobardia maior, prima di passare il testimone a Napoli che, pur non essendo mai stata longobarda, conserva reperti dei regni del sud. Le sezioni della mostra raccontano per capitoli l’identità sfaccettata di un popolo che ha inseguito il sogno di conquistare l’Italia da Nord a Sud, innestandosi con la propria marcata identità sulle culture locali, trasformandole e dando vita a una cultura nuova.
Dai ritrovamenti delle necropoli emerge il carattere guerresco dei Longobardi: divisione in clan, uso di armi come il lungo coltello «scramsax» e la spada (raffinatissima quella esposta, icona della mostra, con l’impugnatura in filigrana d’oro e smalti), scudi rotondi decorati di animali simbolici, speroni e staffe, oltre a scheletri di cani e cavalli, sepolti con i soldati per scortarli nell’aldilà.
L’amore per i metalli e le pietre affiora nella raffinata lavorazione di orecchini, collane, fibule, ma anche nelle epigrafi eleganti e nella scultura, in origine colorata a emulare l’oreficeria.
Un focus particolare è dedicato a Pavia: qui fu promulgato l’editto di Rotari, primo codice scritto di leggi desunte dalla tradizione orale (in mostra sono esposti i due unici manoscritti sopravvissuti, di cui il più antico da San Gallo in Svizzera). Degli edifici della capitale del regno non si conservano più gli alzati, ma numerose tracce rese leggibili grazie a ricostruzioni virtuali (17 i video originali e le installazioni multimediali) e le antiche cripte (aperte tutti i fine settimana in occasione della mostra) di Sant’Eusebio, San Felice e San Pietro in ciel d’oro dove furono nascoste - e ritrovate solo a fine Seicento - le reliquie di Sant’Agostino, trasportate dalla Sardegna dal re longobardo Liutprando.
«Longobardi. Un popolo che cambia la storia» - Pavia, Castello Visconteo, fino al 3 dicembre da martedì a domenica ore 10-18, lunedì ore 10-13 solo per visite organizzate; biglietti 12/8 euro, info 0382.1990037, catalogo edito da Skira.
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