MIDEC
Luca Lischetti: vi presento Buz Baz
Luca Lischetti lo si scova traversando i campi lungo la bella strada che arrampica verso Montonate di Mornago, verde e vecchie case, coltivi e boschi e il suo rifugio, una cascina ristrutturata dove l’artista vive e lavora. Lo studio è zeppo di quadri, sculture, bozzetti, pezzi di legno e colori, ma Luca è un vivente laboratorio di idee, sperimenta in continuazione, monta e smonta, si arrovella e favella. Raccontando la sua vita e la grande mostra che, curata da Stefania Barile, finalmente partirà al Midec di Cerro di Laveno sostenuta dal Comitato culturale Jrc di Ispra e patrocinata dal comune di Laveno Mombello e dalla Regione Lombardia. «Buz Baz, il gioco della vita» è l’apoteosi del pensiero lischettiano, la summa di dieci anni di lavoro e di interrogativi su come dialogare a fondo con i fantasmi che scavano dentro, esorcizzarli e dar loro forma affinché l’osservatore sappia indagarli e comprenderli.
In mostra ci sono i suoi «teatrini», metafora del mondo moderno pervaso da caos ed emarginazione, le figure lignee accese di rosso che cercano di valicare il muro dell’angoscia, e poi lui, Buz Baz, il burattinaio afghano, che danza e piroetta - nel video realizzato da Mattia, il figlio di Luca anche lui artista- come una marionetta disossata che piano piano si riappropria di un’identità e cerca il contatto con il resto dell’umanità.
Dice bene Stefania Barile, nella presentazione in catalogo: «Il rapporto io-mondo da un lato e quello arte-vita dall’altro trovano, infatti, validissimi riferimenti nell’opera di Lischetti, che non perde occasione per riflettere in quel suo originale soggetto tutte le criticità del mondo sociale contemporaneo. Lo spaesamento, l’emarginazione e la conseguente chiusura e immobilità del suo uomo vengono contrapposti alla composizione disordinata dei teatrini, in cui altri individui sono mossi da fili estranei alla loro struttura».
Una visione critica e pessimistica quella di Luca, con l’artista che si specchia nell’abbandono subito dai suoi personaggi, lotta alla ricerca di un posto nel mondo, di un riconoscimento morale agli sforzi cui lo obbliga la dipendenza dal creare. Il bel video di Walter Capelli proiettato in mostra ben evidenzia l’interrogarsi di Lischetti sul destino dell’uomo, con le sue figure rosse vaganti nel bosco-labirinto, il volto bianco di biacca attonito e l’atteggiamento di attesa, di divorante curiosità.
In una sala del Midec poi, la voce lacerante di Rossana Maggia, da un concerto registrato a Bratislava, accompagna la visione dei Buz Baz in movimento e di una figura lignea seduta, in «total black» con volto bianco, che tiene sulle ginocchia un cubo con sulle facce i numeri 17, 45 e 17, corrispondenti al codice identificativo dello scrittore Primo Levi nel lager di Auschwitz.
«La mostra di Cerro è un ritorno alle radici, lì sono cresciuto e ho mosso i primi passi in pittura. Fu mia zia Ida, appassionata d’arte e decoratrice alla Ceramica di Laveno, a scoprire la mia curiosità per i colori e il disegno. Mi leggeva le poesie di Lorenzo Stecchetti incoraggiandomi a partecipare a un concorso della Rai per bambini che dovevano sceneggiare una fiaba. Lo feci e vinsi, si trattava di raffigurare il naufragio dell’Andrea Doria. Il premio non arrivò mai, ma tutta Cerro seppe della mia passione per il disegno», ricorda Luca, 66 anni, che a 10 ebbe in regalo da papà Oreste, fabbro e violinista dilettante, il primo cavalletto.
«Capii che avrei fatto l’artista, finii le medie a stento, non volevo prendere lezioni di pittura perché temevo mi deviassero dalla mia natura artistica. Ho sempre reinventato ciò che avevo davanti, mai copiato. Allora andavamo all’ospizio di Cerro, dove oggi c’è il museo, a vedere la tv dei ragazzi e se nell’intervallo in video appariva la Primavera di Botticelli, la suora spegneva immediatamente il televisore. Papà e mamma gestivano il circolo del paese, capivano la mia sensibilità artistica e mi lasciavano fare».
Finito il militare, negli anni ‘70 Luca va a Parigi dove ha una morosa, Edith, si impegna a fondo nel dipingere, ritorna e mostra i quadri a Gian Franco Maffina, critico e animatore della vita artistica della Varese del tempo, marito del soprano Rossana Maggia, con lui creatrice della «Fondazione Russolo-Pratella» per la musica contemporanea.
«Maffina mi aiutò parecchio, parlava spesso con mio padre, avevano in comune l’amicizia per Luigi Russolo, che viveva a Cerro e morì tra le braccia di papà. La sera si ritrovavano da lui anche con il ceramista Marco Costantini per fare concerti in casa. Mio padre fu internato a Essen, nel dopoguerra trovò un posto a Milano e Russolo gli dava le lettere da spedire perché da là arrivavano più in fretta a destinazione».
Luca si appassiona alla poesia di Villon e all’opera di Tommaso Moro, legge Baudelaire e Poe, coltiva una vena noir e grottesca, realizza le prime mostre personali in Italia e all’estero presentato da critici illustri come Roberto Sanesi, Silvio Zanella e Luciano Gallina.
«A Verona conobbi il paroliere Luciano Beretta, là avevo in corso la mostra dedicata al Segreto degli assassini di strada”, lui la vide e ci inventammo una performance in piazza Bra di cui curò la sceneggiatura. A quei tempi giravo con la custodia del violino di mio padre, mi sembrava di essere Luciano Lutring, il solista del mitra, cercavo l’ispirazione per i miei quadri».
Lischetti sviluppa la ricerca legata ai «teatrini», poi quella di lavori in vetroresina dedicati ai funamboli, quindi, dal 1997, presenta per la prima volta alla galleria di Raffaella Silbernagl «L’Elogio del Rosso», con le sculture che lo hanno caratterizzato per molti anni, mentre del 2010 è la «prima visione» di Buz Baz, con la mostra alla Vinciana di Milano curata da Luigi Cavadini, poi riproposta, nel 2015, ai Chiostri di Santa Caterina di Finalborgo.
La mostra di Cerro, grazie alla sua multimedialità, è un dialogo aperto tra l’artista e il suo pubblico, una sorta di quiz esistenziale al quale i visitatori sono chiamati a rispondere, quasi un esame di coscienza di fronte alla spersonalizzazione dell’individuo in atto nell’attuale società.
«Lischetti chiede al visitatore di entrare nel luogo del gioco, di partecipare in modo attivo, osservando e accettando di ricoprire un ruolo nell’interazione proposta, e di avviare una riflessione che non si ferma a ciò che appare, al fenomenico, ma che viene proiettata oltre l’immagine particolare e contingente, verso quella dimensione generale e universale che sa abbracciare il profilo del Sé sociale», annota ancora Stefania Barile.
Scimmie, maiali, cani ringhiosi, diavoli linguacciuti, ciclisti e pugilatori al tappeto, femmine seduttrici, Capitan Uncino e l’Uomo Mascherato, tutti sono mossi dal grande burattinaio nel gran circo della vita che Luca osserva e rappresenta su tela, testimone consapevole di un programmato sfacelo.
«Luca Lischetti - Buz Baz, il gioco della vita» - Midec di Cerro di Laveno, fino al 21 maggio martedì ore 10-12.30, da mercoledì a domenica ore 10-12.30 e 14.30-17.30; info 0332.625551, www.midec.org.
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