PROCURA DI MILANO
Maroni, chiusa l'inchiesta su Expo
Il presidente è indagato con Gibelli e altri quattro per presunti favori a due sue ex collaboratrici: "sono tranquillissimo"
Roberto Maroni rischia di finire a processo e nel caso di condanna, anche solo di primo grado, di dover lasciare la carica di presidente della Regione Lombardia in applicazione della sospensione prevista dalla legge Severino. Sono i possibili effetti della chiusura delle indagini da parte della Procura di Milano in vista della richiesta di rinvio a giudizio a carico dell’esponente del Carroccio, accusato di "turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente" e "induzione indebita" per presunte pressioni per far ottenere un lavoro e un viaggio spesato a Tokyo a due sue ex collaboratrici. Tra i sei indagati, che hanno ricevuto l’avviso di conclusione indagini firmato dal pm Eugenio Fusco, c’è anche Expo 2015 spa, coinvolta in base alle legge sulla responsabilità amministrativa degli enti, oltre al dg della stessa società, Christian Malangone, e ad Andrea Gibelli, ex segretario generale del Pirellone da poco nominato presidente di Ferrovie Nord Milano. "Finalmente - ha spiegato Maroni - dopo un anno le indagini si chiudono, era ora. Se per una sciocchezza come questa ci vuole un anno, poveri noi. Io sono tranquillissimo". L’inchiesta a carico del governatore era scattata la scorsa estate a Busto Arsizio dall’analisi da parte dei carabinieri del Noe di alcune intercettazioni nell’indagine su Finmeccanica e poi è stata trasmessa per competenza a Milano. Sotto la lente degli inquirenti era finita una presunta raccomandazione che avrebbe portato Maria Grazia Paturzo (non indagata), che collaborava con Maroni quando era ministro dell’Interno, ad ottenere un contratto come "temporary manager" in Expo. I due, tra l’altro, come scrive il pm nell’atto di chiusura indagini, sarebbero stati "legati da una relazione affettiva" e ciò emergerebbe da un verbale e da alcuni sms. Secondo gli investigatori, Maroni non avrebbe potuto inserire la professionista nel suo staff in Regione e, dunque, avrebbe concordato per lei con l’ad di Expo Giuseppe Sala (solo teste nell’inchiesta) un contratto di sei mesi rinnovabile al massimo fino a due anni (a 5mila euro al mese e scaduto lo scorso ottobre). L’inchiesta, partita dai sospetti sul contratto (non contestato nell’imputazione), è virata sul capitolo di un viaggio a Tokyo nell’ambito del "World Expo Tour". Secondo gli inquirenti, Maroni avrebbe voluto che Paturzo fosse inserita nella delegazione della Regione per il viaggio e che fosse spesata da Expo, perché il Pirellone non poteva coprire i costi. Da qui le sue presunte "pressioni" su Malangone.
"A parte citazioni ad effetto di alcuni sms il cui contenuto è stato palesemente (e sorprendentemente) modificato, non si colgono né gli estremi del reato, né tanto meno il danno per le casse di Regione Lombardia". Lo scrive in una nota Domenico Aiello, difensore di Roberto Maroni, dopo aver "letto attentamente l’avviso di conclusione delle indagini. Il legale, a proposite delle contestazioni mosse dal pm Fusco, spiega che a suo avviso si tratta di "elementi minimi necessari per poter "enunciare" una ipotesi di reato, ancor prima di affrontare il tema centrale del dolo che nel caso del Presidente Maroni è del tutto inesistente". L’avvocato aggiunge inoltre che "il mancato viaggio del Presidente Maroni, disdetto per scelta istituzionale, ha prodotto un risparmio documentato alla Regione".
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