AL CASTELLO
Meteore su Varese, la mostra
Dici «meteore su Varese» e il pensiero va a una minaccia celeste. A un presagio che incombe sulla città. E invece no. Perché il concetto che sta dietro «Meteore su Varese» - che è libro e anche mostra in corso al castello di Masnago - nulla ha di minaccioso. Semmai il contrario. Il progetto, nato nell’ambito delle celebrazioni per il 200 anni di Varese elevata al rango di città, è un atto d’amore che guarda al passato per elogiare il presente e preparare il futuro.
Un omaggio ideato e coordinato dal fotografo Alberto Bortoluzzi, che spiega: «La propria città d’origine è una sorta di madre, a volte capita di litigarci, ma alla fine, indipendentemente dai suoi pregi e difetti, le si vuole bene. Il bicentenario è allora il momento giusto per dedicarle un tributo, in questo caso corale, visto che ha coinvolto 102 persone che hanno prodotto immagini e testi su e per Varese».
Bortoluzzi, perché meteore?
«Le meteore sono stelle cadenti, pezzi di comete, materia che quando cade diventa incandescente illuminando tutto intorno. In questo caso si è voluto illuminare la città e i varesini di ieri e di oggi. E poi le stelle comete sono affascinanti, si muovono veloci proprio come i duecento anni che sono passati e raccontiamo. Per questo abbiamo messo sulla copertina del libro quella foto così dorata, con i pennacchi di fumo che sembrano cadere dal cielo. È uno sguardo diverso su Varese».
Come avete lavorato?
«Essendo la città vasta e dispersiva non volevamo, né potevamo occuparci di tutto il territorio, così abbiamo scelto di focalizzarci solo su Varese città, il suo lago e il Sacro Monte, con un particolare riguardo per l’osservatorio del Campo dei Fiori».
Come ha arruolato i suoi autori?
«Come fotografo avevo voglia di omaggiare la mia città, ma il bicentenario era un’occasione troppo bella per non condividerla. Perciò ho coinvolto fotografi professionisti e appassionati, scrittori e giornalisti, uomini, donne, giovani e anziani, un bel gruppo piuttosto variegato. Il lavoro di proposta e raccolta è stato fatto per lo più su Facebook senza escludere nessuno, le foto sono state selezionate in funzione dei testi che volevo usare».
Anche per i testi c’è stata tanta spontaneità?
«No, se le immagini sono state un work in progress, i testi sono stati molto più mirati, a partire dall’introduzione storica di Robertino Ghiringhelli che racconta come è nata Varese. D’altra parte scrittori non ci si improvvisa e dunque ho scelto quelle che per me erano le persone più autorevoli in questo senso, che avevano davvero qualcosa da dire e scrivere perché memorie storiche, o protagoniste in prima persona dei fatti narrati».
Facciamo qualche esempio?
«Beh, a parte Ghiringhelli di cui ho già detto, c’è il sindaco Attilio Fontana che racconta la sua esperienza, Vittorio Keleuyan Nisca che ricorda gli anni d’oro della Varese sportiva, Mauro della Porta Raffo che scrive di bar, gioco d’azzardo e anche di Piero Chiara ed Eligio Pontiggia che racconta delle librerie. Mario Chiodetti rievoca i personaggi illustri del passato, Gianni Spartà Renato Guttuso, Giulio Rossini scrive del suo cineclub Filmstudio ‘90 e Maniglio Botti dei cinema che non ci sono più. Di Prealpina scrive lo storico direttore Pier Fausto Vedani, Antonio Triveri compare con un pezzo sul canottaggio, Enrico Minazzi scrive di corse automobilistiche e ciclistiche, mentre Ernesto Giorgetti regala una bellissima riflessione sul lago. Sandro Sardella, il poeta operaio, racconta di quando è andato a fare un reading in carcere. Non manca Gaspare Morgione: la moglie Agnese ci ha donato tre sue vignette, una per ogni argomento trattato».
C’è anche un contributo delle suore Romite del Sacro Monte.
«Mi ero messo in testa questa cosa, ma non sapevo come contattarle, finché non ho conosciuto il giardiniere che lavora per loro e che, insieme con padre Gianni dei frati di viale Borri, mi ha fatto da tramite. Le suore ci hanno mandato un testo su come si vive nel monastero, ma la foto inserita nel libro non è opera loro».
Il suo contributo, invece, è stato solo di coordinamento?
«Come fotografo sono stato un passo indietro, in genere ho usato le mie immagini per tappare buchi, illustrare argomenti di cui mancavano immagini. Anche i lavori di Carlo Meazza son serviti a questo».
Con grande spirito di gruppo.
«Sì, perché questo è un lavoro corale che racconta come le grandi cose si costruiscano a partire dalle piccole, magari in apparenza non significative. Un po’ come per le piramidi, così maestose: il più piccolo mattone ha la sua funzione e la sua importanza».
Quale Varese esce dalle Meteore?
«Una città positiva e propositiva, che sa cogliere il bello esistente e lo sottolinea anche in funzione di un futuro migliore. Oggi si tende a criticare, a non amare. Ma ciò non porta a nulla. È anche per questo che ho voluto che il progetto fosse apolitico e desse spazio a tutti: la politica non ha importanza se non a livello storico. La mia speranza è che chi vedrà la mostra e sfoglierà il libro li interpreti come uno stimolo e un esempio: c’è sempre qualcosa di buono, si può sempre migliorare, soprattutto se si lavora insieme pensando all’obiettivo finale».
Un po’ come avete fatto voi fotografi.
«In genere i fotografi sono esseri asociali, ma in questo caso non ci sono state primedonne, né lupi solitari. Per quanto mi riguarda, questo modo di lavorare mi ha dato una bella spinta per far qualcosa per la mia città. Non so ancora sotto quale forma, ma succederà».
«Meteore su Varese» - La mostra si visita a Varese, al castello di Masnago, in via Cola di Rienzo 42, sino al 31 agosto, da martedì a domenica dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 14 alle 18, info 0332.820409.
Il libro - 278 pagine di fotografie e testi di 102 autori - si acquista la Castello e nelle librerie della città.
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