LA TESTIMONIANZA
«Mia sorella nell’incubo di Barcellona»
Angoscioso filo diretto fra la redazione della Prealpina e la capitale catalana dopo l’attentato dell’Isis
Un attentato terroristico a Barcellona. Leggi le prime agenzie alla velocità della luce, ma soprattutto cerchi le immagini per capire che cosa stia accadendo.
Vuoi conoscere il luogo esatto, non ti basta sapere che il teatro dell’attacco è la Rambla, partendo da Plaza Catalunya e ancora giù, vicino alla Boqueria.
Ti accorgi che la zona coinvolta è una delle più famose e a te familiari, perché è il tragitto che tua sorella Chiara Elisa Deriu compie due volte al giorno, da un anno, per andare al lavoro, da quando si è stabilita nella capitale della Catalogna.
Così afferri lo smartphone e la chiami via whatsapp. Perché vuoi sapere che tua sorella è al sicuro. Che il suo fidanzato e gli amici stanno bene.
«Sono a la playa (in spiaggia alla Barceloneta), sto bene. Ti stavo chiamando e adesso cerco di tornare a casa con il bus. Ci sentiamo appena arrivo», risponde con la voce di chi non vuole farti preoccupare, Chiara, che fra cinque giorni compirà 26 anni e lavora in un locale che si affaccia sulla Rambla.
Con lei ci sono due amiche di Olgiate Olona, Francesca e Veronica, che proprio in questi giorni sono andate a trovarla.
Ha saputo da meno di dieci minuti dell’attentato, si deve aspettare almeno un’ora prima che torni a casa e si faccia sentire. Nel mentre parte il primo giro di chiamate e messaggi, oltre che sui social network, per avvisare che Chiara sta bene e non è in pericolo.
«Ho pensato in spagnolo “mucha suerte” (che fortuna), perché potevo esserci io e vedi la morte in faccia, le scene sono agghiaccianti. Ho saputo dell’attentato da Pedro, il mio fidanzato, che mi ha chiamata per sapere dove fossi e come pensassi di tornare a casa. Mi ha detto di non prendere la metropolitana ma un bus, lui è invece tornato a casa a piedi senza passare dalla Sagrada Familia, che è blindata», racconta Chiara.
«Le mie datrici di lavoro e le mie colleghe si sono subito informate per sapere dove fossi perché in questi due giorni sono a riposo. Mentre nel locale dove lavoro, si sono barricate dentro con i clienti senza fare uscire nessuno. Tutti hanno chiuso le porte e abbassato le saracinesche.
Ci siamo tenute in contatto via whatsapp: ci sono stati momenti di panico e isteria . Noi tre amiche, abbiamo cercato di mantenere tutti la calma: non volevamo parlare dell’attentato. Mentre una signora si è assicurata che avessimo capito cosa era accaduto, intanto l’autista ha fatto un giro più lungo evitando il centro e sono riuscita a tornare nella mia zona in poco tempo», continua.
La richiami, le chiedi di raccontare le ultime ore: «Solo dopo le 21 la situazione pare essersi calmata sulle Rambla e hanno consentito di abbandonare i locali per tornare a casa. Ora, siamo attaccati alla televisione: gli spagnoli stanno facendo appello all’unità nazionale.
Circolano ipotesi che possa trattarsi un attentato ad hoc in vista delle elezioni per l’indipendenza della Catalogna. La ricostruzione è frammentaria. Certo che tutti sanno che in questo periodo le Rambla sono piene di turisti, non è frequentata da chi vive in città. E ci chiediamo come possa essere successo: perché non lo hanno fermato? Ha percorso un lungo tratto di strada», spiega la giovane cercando di rassicurare i parenti a casa.
«Noi abitiamo nella zona fra la Sagrada Familia e l’ospedale: l’area è blindata dalla polizia mentre le ambulanze continuano a sfrecciare. Una nostra amica infermiera è stata richiamata al lavoro. Noi siamo chiusi in casa come consigliano le autorità».
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