AL MAGA
Michela Marzano e la teoria gender
Edizione numero sei per «Scrittrici insieme», il festival di letteratura al femminile in calendario dal 27 al 29 maggio al Museo Maga di Gallarate. Nell’intrigante programma di incontri (vedere l’altro articolo sul sito) spicca la presenza di Michela Marzano - domenica 29 maggio alle ore 15 - filosofa di fama internazionale che insegna a Parigi e, fino a pochi giorni fa, era tra le fila del Partito democratico alla Camera.
Dopo aver votato la legge sulle unioni civili, infatti, Marzano ha deciso di lasciare il Pd perché, ha spiegato, «aver eliminato dalla legge ogni riferimento a famiglia e familiare e aver stralciato la stepchild adoption rappresenta per me un vulnus difficile da accettare, soprattutto da giustificare pubblicamente».
Marzano, che ha studiato filosofia alla Normale di Pisa e bioetica alla Sapienza di Roma, a Gallarate parlerà del suo ultimo libro, «Mamma, papà e gender» (Utet), un saggio che prova a mettere ordine nel dibattito sulla cosiddetta teoria gender. Una discussione troppo inutilmente accesa che Marzano chiarisce con parole semplici, stando dalla parte delle persone e del diritto di ciascuno di essere quel che è, senza vergogne e senza limiti.
Michele Marzano, lei ha lasciato il Pd per poter continuare a essere coerente con i suoi principi etici e morali. È una decisione irrevocabile?
«Sì, come ho scritto nella mia lettera di dimissioni, le ragioni non sono politiche, sono morali. Quando, il 7 gennaio del 2013, Bersani e Letta mi chiesero di accettare la candidatura per il Pd, lo fecero, e li cito, per mettere al servizio del partito e dell’Italia le mie competenze sui diritti e l’etica. Se quel giorno accettai - nonostante i dubbi e le riserve che avevo fossero molte, non avendo mai attivamente partecipato alla vita politica italiana e vivendo ormai da quasi vent’anni in Francia - era perché consideravo doveroso rispondere presente e non limitarmi più solo a scrivere saggi e articoli, o insegnare all’università: era un dovere, era un onore. La mia storia, però, non è politica. Nasce dalle esperienze di vita, talvolta anche molto dolorose, affrontate e dall’impegno costante a livello accademico e a livello divulgativo per riparare le ferite del mondo. Sui temi dei diritti e dell’etica ho sempre detto e difeso gli stessi valori e gli stessi principi. Perciò non me la sento di non essere coerente con me stessa e con le mie battaglie per opportunità politica».
Pensa che dal gruppo misto, dove è entrata, potrà agire con la stessa forza?
«Io continuerò ad agire con un impegno e una convinzione ancora maggiori».
Michele Serra le ha dedicato un’Amaca cui lei ha risposto con una bellissima frase di Jean Guéhenno che in pratica dice che nessuno è obbligato «seguire il mondo come va»…
«Michele Serra, nella sua Amaca, mi rimprovera - anche se con grande rispetto - di aver parlato di coerenza con me stessa, mentre quando si è impegnati in politica si deve talvolta scendere a compromessi. La coerenza cui però mi riferisco non è tanto o solo con me stessa. Se fosse questo il problema, sarebbe stato poco interessante, anzi banale. La coerenza che mi interessa è quella con gli ideali etici e morali che giustificano - o dovrebbero giustificare - l’impegno in politica. E quindi soprattutto la coerenza con l’uguaglianza di tutte e di tutti. Un’uguaglianza che resta, almeno per me, la stella polare della sinistra e che non si può sempre e solo invocare per poi continuare a trattare alcune persone come meno uguali rispetto alle altre. Quando ho parlato di coerenza io ho sempre e solo avuto in mente la società».
A Gallarate presenterà «Mamma, papà e gender»: ma cosa è questa teoria del gender e perché sono stati messi all’indice libri che molti dei nostri bimbi hanno potuto sfogliare già all’asilo e comunque continuare a crescere liberi e felici?
«Non esiste una sola teoria, ma una molteplicità di studi di genere, visto che il termine gender è solo il vocabolo inglese che vuol dire genere. Dopo che per secoli ci si è riferiti alle differenze esistenti tra gli uomini e le donne solo attraverso il termine sesso, negli anni Cinquanta si è cominciato a capire che sarebbe stato meglio distinguere il sesso dal genere, anche semplicemente perché il sesso rinvia direttamente alle caratteristiche genetico-biologiche, mentre il genere designa il complesso di regole, implicite o esplicite, sottese ai rapporti tra uomini e donne. Da allora, gli studi si sono moltiplicati. C’è chi si è concentrato sugli stereotipi della femminilità e della virilità. C’è chi ha cercato di spiegare e dimostrare che l’orientamento sessuale non è una conseguenza inevitabile della propria identità di genere e che essere gay non significa non essere pienamente uomini, così come essere lesbiche non significa non essere pienamente donne. E via dicendo. Contrariamente quindi ai fantasmi di chi se la prende con l’insegnamento del gender, l’educazione all’affettività e alla tolleranza nei confronti delle tante differenze non ha come scopo quello di spingere i maschietti a diventare femmine o le femminucce a diventare maschi. Esattamente come non si può insegnare a un eterosessuale a diventare omosessuale, o a un omosessuale a diventare eterosessuale».
E qual è lo scopo?
«Solo quello di favorire il rispetto di chiunque, e quindi l’uguaglianza, indipendentemente dalla propria identità e dal proprio orientamento sessuale, perché non è vero che un gay o una lesbica siano dei mostri e non è vero che se una bambina gioca con i soldatini o un bambino con le bambole siano sbagliati».
Si può dire che il filo rosso che collega il suo essere nel mondo - filosofa, docente, politica, donna - sia lavorare perché tutti siano uguali e diversi, uguali ma rispettati nella propria diversità?
«Sì, credo che sia proprio questo il filo rosso. Anche se aggiungerei che ciò che attraversa da anni il mio lavoro è il tema della crepa. Quella stessa crepa che rovina la perfezione della coppa d’oro del racconto di Henry James. Apparentemente perfetta, la coppa svela pian piano l’intreccio complesso di verità e menzogne che caratterizzano l’esistenza umana: non è d’oro, ma di cristallo; non è integra, ma ha una crepa. Proprio come la vita. Che è sempre più complessa e contraddittoria di quanto non si immagini».
A proposito di diritti e rispetto delle differenze, il mondo è diviso tra gli indifferenti e chi si accanisce contro. Non sappiamo più confrontarci?
«Credo che ci sia un problema di ascolto. Niente, d’altronde, è più difficile dell’ascolto. Talvolta è necessario fare lo sforzo di aprire in noi spazi di ascolto affinché il dire dell’altro diventi, se non proprio chiaro, almeno ascoltabile e non immediatamente negato».
Lei sa portare temi difficili all’altezza di tutti e spesso usando se stessa come esempio. Lo ha fatto nel libro «Volevo essere una farfalla» in cui racconta i suoi problemi, risolti, con l’anoressia e nel quale si sono riconosciute molte donne e ragazze...
«Diciamo che cerco di prendere molto sul serio quanto spiegò Hannah Arendt parlando della filosofia. Non quella astratta che gioca con i concetti e ricostruisce il mondo. Non quella perentoria che vorrebbe insegnare quello che si deve o non si deve fare. Ma quella incarnata che si costruisce intorno all’evento che appare nel mondo e lo trasforma. Senza precedenti, o cause necessarie. E che obbliga, nonostante tutto, a trovare alcune risposte».
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