IL CASO
Molina, fine dei giochi: rimane il commissario
Il Consiglio di Stato ha detto sì all’Ats e no a Campiotti. Prossimo appuntamento con la giustizia amministrativa il 10 ottobre: udienza al Tar
Nessuna sorpresa e nessun contro-contro-ribaltone. Affrontando il caso Fondazione Molina, il Consiglio di Stato ha confermato il provvedimento presidenziale dello scorso 21 febbraio. Risultato: alla guida della struttura sociosanitaria di viale Borri resta il commissario Carmine Pallino, chiamato dall’Ats a sostituire il Cda presieduto da Christian Campiotti alla fine del novembre 2016. Il Consiglio di Stato ha quindi di nuovo sconfessato il Tar (primo grado della giustizia amministrativa), che in via cautelare aveva stabilito a metà febbraio l’esatto contrario: via Pallino e di nuovo dentro Campiotti e il Cda (questa seconda fase era durata meno di una settimana).
Ora il prossimo appuntamento con la giustizia amministrativa è fissato per il 10 ottobre, quando il Tar si pronuncerà sul ricorso di Campiotti e dei suoi entrando nel merito. Il commissario ha quindi davanti a sé diversi mesi di lavoro senza problemi e in ogni caso dopo il mese di giugno, quando l’incarico andrà a scadenza, l’Ats potrà prorogarlo nel caso ravvisi ancora la necessità di una sua presenza al Molina.
Ricapitolando, dopo la cacciata di Campiotti e soci provocata dall’ormai nota vicenda del prestito obbligazionario da 450mila euro concesso dal Molina a una società legata all’emittente Rete 55 e vicina al partito di Campiotti, la Lega Civica, il Tar, su ricorso del Cda, l’ha rimesso in sella, e poi il Consiglio di Stato, prima con un provvedimento presidenziale e poi con uno collegiale (quello di venerdì 17), su ricorso dell’Ats, ha rimesso in sella il commissario Pallino. Di qui la soddisfazione dell’Ats: «È così dimostrata la legittimità del Commissario ad operare nella piena volontà di garantire e migliorare il servizio ai cittadini presenti nella struttura».
L’ordinanza del Consiglio di Stato conta appena una pagina e del resto l’analisi della questione, come sempre in una fase cautelare, è stata «sommaria». Ma in ogni caso Campiotti e i suoi legali vengono bacchettati dato che «le censure articolate dai ricorrenti in primo grado non appaiono assistite da evidente fondatezza». Mentre l’operato dell’Amministrazione - scrivono i cinque giudici del Consiglio di Stato - appare «sorretto da congrue motivazioni con riguardo anche solo alla vicenda che ha determinato il commissariamento, la quale va riguardata non solo nella sua consistenza patrimoniale ma anche quale “spia” di una potenziale (e più grave) deviazione delle funzioni istituzionali della Fondazione».
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