LA SENTENZA
Morti alla Tosi: nessun colpevole
Trentatré vittime di mesotelioma: la Cassazione cancella le responsabilità dei vertici aziendali. L’avvocata di parte civile: «Andremo alla Corte di giustizia europea»
La Corte di Cassazione ha messo la parola fine nella vicenda processuale chiamata a fare luce sulle trentatré morti da mesotelioma pleurico (il tumore per antonomasia di chi ha respirato le micidiali fibre da amianto) di altrettanti operai in servizio alla Franco Tosi/Ansaldo di Legnano tra la fine degli Anni Settanta e i primi Anni Novanta.
Nello specifico, la Quarta sezione penale della Suprema Corte, presidente Rocco Marco Blaiotta, annullando il ricorso proposto dalle parti civili, Associazione Italiana Esposti Amianto e Medicina Democratica, ha finito per confermare le sentenza di assoluzione del giudice del Tribunale di Milano Manuela Cannavale (fu lei a scrivere in sede di motivazione che «la tragedia collettiva non può e non deve essere risolta sul piano penalistico») e, successivamente, della quinta Corte d’Appello del capoluogo lombardo.
Assolti in via definitiva dall’accusa di omicidio colposo plurimo i sei imputati. A cominciare dall’imprenditore bergamasco Giampiero Pesenti, 86 anni, componente del comitato esecutivo e del Cda, nonché vicepresidente delle fabbrica metallurgica-meccanica legnanese nel periodo compreso tra il 1973 e il 1980, nei confronti del quale il sostituto procuratore generale della Corte d’Appello di Milano aveva sollecitato una condanna a sei anni di reclusione per omicidio colposo plurimo, puntando l’indice contro la «mancata prevenzione» dall’amianto che l’ex presidente di Gemina e del patto di sindacato di Rcs Media Group «avrebbe potuto e dovuto esigere» mediante l’utilizzo di adeguati dispositivi di protezione delle vie respiratorie dei lavoratori.
Assoluzione definitiva anche per altri ex dirigenti sotto processo (sempre per omicidio colposo plurimo) - Renato Conti, Luciano Cravaroli, Rodolfo Di Stefano, Roberto Giannini e Vincenzo Vadacca -, nei confronti dei quali in appello aveva sollecitato la condanna non la Procura Generale di Milano, bensì l’avvocato Laura Mara, in rappresentanze delle parti civili Associazione Italiana Esposti Amianto e Medicina Democratica, che per decisione della Cassazione dovranno anche sobbarcarsi pure le spese del grado di giudizio.
Sconfortata dall’esito del verdetto, l’avvocata Mara.
«Quanto è accaduto - ha commentato - è inaccettabile anche perché gli scienziati sono unanimi nel ritenere che a maggiore esposizione all’amianto, il tempo di latenza della malattia ad esso correlata si riduce. Certo le sentenze si rispettano sempre, ma è anche un diritto criticarle. Avanti di questo passo non si potranno più celebrare processi per malattie professionali e non solo nei casi di morti da amianto. E allora, arrivati a questo punto, non escludo che si faccia un ultimo tentativo, denunciando l’accaduto con un ricorso per violazione dei diritti umani alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo».
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