IL CASO
‘Ndrangheta, manette sul confine
Maxi-inchiesta con 160 arresti: ramificazioni in Ticino e nel Verbano per vino e armi
Mazzette, atti intimidatori, investimenti, acquisto di locali per la ristorazione ed armi, quest’ultime esportate in Italia: c’è questo e molto altro in una nuova inchiesta contro la ‘ndrangheta avviata dalla magistratura italiana. L’operazione, denominata Stige, ha lambito la frontiera ed alcune città del vicino Ticino, Lugano e Chiasso in testa a tutte. In realtà vi sono anche addentellati con il Verbano ed il Comasco nell’indagine transnazionale. Sono state arrestate 169 persone e, secondo il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, si tratta della più grande operazione per numero di arresti degli ultimi 23 anni; Gratteri la considera un’indagine da portare nelle scuole di magistratura per spiegare come si fanno indagini per associazione di tipo mafioso dove, in una sole notte, hanno operato oltre mille carabinieri. L’operazione ha portato alla luce le attività criminali della cosca Farao-Marincola, una delle più potenti della Calabria, operante nell’area cirotana, con ramificazioni appunto anche al Nord e al Centro Italia, in particolare Emilia Romagna, Veneto, Lazio, Lombardia ed in Germania. Per tornare ai confini con Varesotto e Comasco, l’ordinanza ricostruisce gli interessi delle cosche calabresi per il business dell’enogastronomia anche in Ticino, con la volontà dunque di fare sempre più investimenti in Svizzera. L’ipotesi degli investigatori è che si volesse riprodurre il modello attuato in Germania, dove pure ci sono stati degli arresti e dove gruppi di ‘ndrangheta sono riusciti ad imporre l’acquisto di prodotti propri come semilavorati per pizze e vino di origine calabrese. Tanto vino è passato dai valichi per essere gustato a Lugano, come riferiscono le intercettazioni. «Vino buono», dicono al telefono gli intercettati, tanto che «sono un milione di bottiglie e sono finite». Gli investigatori, su questo coordinamento di prodotti vinicoli, hanno captato conversazioni dove si quantificavano ingenti volumi d’affari. Nelle intercettazioni acquisite dai carabinieri, esponenti malavitosi parlano di 16 locali sul territorio svizzero «già nostri» ed altri «in società». Gli affari, il business e non solo quello della ristorazione, venivano discussi direttamente nella Confederazione elvetica; si legge nelle oltre 1200 pagine di ordinanze che riguardano appunto la Svizzera. Ci sono mazzette da ritirare, che una volta al mese lasciavano i sicuri caveau ticinesi per l’Emilia Romagna. Ci sono le armi procurate in suolo elvetico, lunghe e corte, da far passare di nascosto dai valichi, celate verosimilmente dentro blocchi di mattoni. Il colonnello del Ros, Lorenzo Sabatino, ha reso noto che nell’operazione sono state sequestrate ben 57 società, «in molti casi ci siamo trovati di fronti soggetti che dichiaravano reddito zero e che invece avevano a disposizione mezzi e case di lusso».
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