IL PERSONAGGIO
«Non chiamatemi Maestra»
Il cinema secondo Lina Wertmüller, che domenica 25 sarà a Luino per il Premio Chiara alla carriera
«Maestra? Non scherziamo, semmai lo sono stata per caso. O per istinto o per un pizzico di talento, ma ciò che ho fatto nella mia carriera non è il frutto di uno studio ossessivo o di una preparazione maniacale. Le cose si facevano perché si facevano, erano nell’aria».
Così Lina Wertmüller, nata a Roma 88 anni fa, regista di grande successo, spesso più di pubblico che di critica, che domenica 25 alle 17 sarà al Sociale di Luino per ritirare il Premio Chiara alla carriera. Affermazione la sua forse un po’ sorprendente ma perfettamente in linea con la tesi sostenuta nel libro “Splendor” da Steve Della Casa, direttore del Busto Arsizio Film Festival, secondo il quale la stagione migliore del cinema italiano è nata nelle trattorie o sulle terrazze più che negli uffici delle case di produzione.
Andava veramente così?
«Proprio così mi sembra eccessivo, ma certo da noi gli incontri erano meno formali che altrove e creatività e improvvisazione, intesa anche in senso positivo, giocavano un ruolo importante».
Non fu studiata neppure la mossa di creare la coppia Melato-Giannini?
«No, avevo già lavorato tanto con Mariangela quanto con Giancarlo, ma l’idea di metterli accanto in “Mimì metallurgico ferito nell’onore” non rispondeva a nessuna logica di marketing. Ho pensato che sarebbe stato bello vederli insieme senza preoccuparmi del fatto se la coppia avrebbe richiamato la gente al cinema».
In quel film c’è anche un omaggio a Gallarate
«Non me ne prendo il merito. Conosco poco le vostre zone, naturalmente sapevo della presenza di tante fabbriche ma, se non ricordo male, fu Mariangela a suggerire Gallarate e la battuta rimase».
A quella pellicola ne seguirono altre due con Melato e Giannini, anche queste dal titolo chilometrico; un vezzo?
«Può esserlo all’inizio, poi è come dire “squadra che vince non si cambia”. “Mimì” andò bene e mi spinse a girare “Film d’amore e d’anarchia” e Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto“.
Per “Pasqualino Settebellezze” è stata la prima regista candidata agli Oscar...
«Pazienza».
Pazienza perché poi non vinse o perché solo nel 1977 una donna ottenne la nomination?
«Per entrambe le cose ma soprattutto per il risultato che mi riguardava direttamente».
Da “Il Giornalino di Gian Burrasca” del 1964 a “Mannaggia alla miseria” del 2009, lei ha realizzato, anche come sceneggiatrice, davvero tanto; a quale lavoro si sente più legata?
«Difficile scegliere, certo “I basilischi” resta un bel film ma ciò che mi è riuscito meglio appartiene alla mia vita privata: mia figlia».
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