CORTE D’ASSISE
«Non ho ucciso mia moglie»
Argenziano si difende in aula. Confronto tra i periti: non si può escludere morte per farmaci
Alla fine ha deciso di parlare e rendere spontanee dichiarazioni, per dire che no, lui non ha ucciso sua moglie. «Lei ora non c’è più, ma io non ho fatto nulla e lo dico col cuore: non ho commesso alcun reato», ha affermato, precisando però che da qualche tempo i rapporti tra loro due si erano incrinati a causa dei frequenti contrasti con la famiglia di lei. Insomma, il quarantenne Alessandro Argenziano ha proclamato la propria innocenza, ribadendo di non aver ucciso la moglie Stefania Amalfi il 26 aprile di due anni fa, stordendola – questa l’accusa - con psicofarmaci e soffocandola con un cuscino sul volto, per poi simularne il suicidio con una calza sulla testa così da incassare i suoi 29mila euro di assicurazione sulla vita.
La deposizione dell’imputato, dinanzi alla Corte d’Assise del Tribunale di Varese presieduta da Orazio Muscato, con pubblica accusa rappresentata dal pm Antonio Cristillo, è arrivata al culmine di una mattinata molto delicata dal punto di vista processuale.
Sì perché poco prima erano stati sentiti in contraddittorio - come disposto dai giudici al termine della precedente udienza - i due medici legali che hanno eseguito esami sul cadavere della vittima: il dottor Marco Motta, per conto della Procura, e il professor Cesare Garberi, su nomina della difesa di Argenziano sostenuta dall’avvocato Stefano Amirante. Ebbene, dopo le divergenze riscontrate nel corso delle rispettive precedenti deposizioni, ieri i due esperti in forze all’Istituto di medicina legale dell’ospedale di Circolo sono parsi d’accordo su un aspetto tutt’altro che secondario nell’intera vicenda. E cioè l’impossibilità di escludere che il soffocamento di Stefania Amalfi sia stato legato all’assunzione di farmaci della famiglia delle benzodiazepine – come appunto quel Rivotril di cui furono poi trovati due flaconcini vuoti nel bidone dell’immondizia dell’appartamento della coppia -, i quali, benché presi in dosi terapeutiche, potrebbero aver aggravato le patologie di cui la donna soffriva, come ad esempio le apnee notturne.
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