SERIE A
Non passarsela bene in un bel palazzo
Una brutta fine di gara e d’anno. Eppure contro la Virtus la vittoria sarebbe stata meritata. Ma Wells...
Che brutta fine, di gara e d’anno. Un vero peccato, come quello di Pesaro, costati entrambi punti salvezza, svaniti per più ragioni avverse sulle quali recriminare o addirittura imprecare dovendo, in fin dei conti, meditare su vere incompiute, anche per propri limiti. A Pesaro s’era messo di traverso allo scadere Dallas Moore, a Masnago nel giorno di Santo Stefano ci ha pensato Alessandro il superbo i cui canestri, quando diventa virtuoso, sembrano semplici piaceri di gente complicata. Alla Pallacanestro Varese resta come raccolto solo rabbia che, nella circostanza, si trasforma in un vero j’accuse d’un furibondo Caja agli arbitri, rei d’aver sottratto alla squadra una preziosa manciata di secondi dopo lunghe consultazioni al tavolo per ristabilire il tempo a causa di un crono galeotto.
Personalmente non crediamo ad arbitri a favore o contro per partito preso, semmai sbagliano, anche clamorosamente. Che la Virtus Bologna, come “piazza” e società, politicamente conti più di Varese? Ma se due stagioni fa è retrocessa...
Vero è che nulla, come ci si aspetterebbe generalmente, è stato concesso alla formazione di casa, se non le è stato tolto qualche cosa. A fare la differenza, tuttavia, è stato - si diceva - Gentile, incontrastato padrone del campo, in sintonia con le sue enormi qualità che, ricordando Carlton Myers, lo spingono a conclusioni forzate e che, se non affossano la squadra, la trascinano al successo. Com’è accaduto alla distanza contro una Varese alla ricerca - attraverso il suo proverbiale ardore - d’una vittoria meritata pur non possedendo individualità tali da poter risolvere di forza la gara, mancandole anche due elementi di scuola americana come Waller e Hollis, per dire di due assenze pesanti al di là dell’utilizzo (anzi del non utilizzo, com’è accaduto a Reggio Emilia) di Damian, pur scoppiettante di salute. In verità Bologna ha dovuto rinunciare a Lafayette, un’eccellenza tecnica indiscutibile, non infierendo il destino sulle perdite della formazione biancorossa, innegabilmente inferiore se solo dovessimo far “scorrere”, come figurine, i singoli delle due squadre per paragonarli uno con l’altro. Lo si sa ma Ferrero, che si merita una convocazione azzurra, e Cain, luminoso punto di riferimento sotto i tabelloni, hanno guidato la squadra senza complessi.
Tanta croce, poca delizia: rieccoci a Wells, povero di colpi vincenti, al di là di quello che ha costretto i petroniani al supplementare, nemmeno tanto ricco di creazioni o imbeccate al fulmicotone che desidererebbe Pelle cui, sempre pronto a esplodere, manca la relativa miccia, innescabile da chi comanda il gioco, finendo frustrato, a ciondoloni, tra le maglie avversarie.
La titolarità in regia, al di là dell’animosità ammirevole di Avramovic e della diligente applicazione di Tambone, non dà garanzie in completezza di rendimento. Il caso ha voluto, dispiacendoci per la stagione finita di Waller, che Varese debba reclutare un sostituto, augurandoci un elemento alla Dominique Johnson, capace di attaccare il ferro e di colpire dalla lunga distanza, probabilmente più facile a dirsi che a trovarlo, dovendo compensare le deficitarie soluzioni offensive di Wells affinché in futuro non diventi incerto e preoccupante.
Già, se guardiamo avanti, scopriamo una serie di impegni da far paura. Morale, non si può abitare in un palazzo storico e lussuoso rischiando di non passarsela bene. Capita l’antifona?
© Riproduzione Riservata