L’ULTIMA INTERVISTA A LOMBARDIA OGGI
«Non smetto mai d’imparare»
L’intervista di Laura Balduzzi per i novant’anni di Dario Fo, pubblicata su Lombardia Oggi, lo scorso marzo.
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Ha quasi novant’anni ma si fatica a stargli dietro. Dario Fo, nato a Sangiano il 24 marzo 1926 da papà ferroviere, l’autore italiano più rappresentato nel mondo, premio Nobel per la letteratura nel 1997, presenta un nuovo libro al Piccolo Teatro di Milano. Ma ha appena debuttato a Bologna con «Storia proibita dell’America», spettacolo sul tema della schiavitù e dei pregiudizi, si prepara a fare una parte in un film, allestisce mostre: una dedicata a Chagall si è appena chiusa a Pavia, un’altra è in programma a maggio all’Università dell’Insubria di Varese (organizzata dal docente di letteratura italiana Gianmarco Gaspari, sarà ospitata nei corridoi del rettorato e accompagnata da un catalogo con un testo inedito su Varese e, probabilmente, da una replica di «Mistero buffo» al teatro Ucc).
Accanto a lui c’è sempre Franca Rame, che se n’è andata il 29 maggio 2013 ed è stata la compagna di una vita: nell’amore, nel lavoro, nell’impegno che ha sempre contraddistinto la coppia, che - tanto per fare un esempio - ha devoluto tutti i soldi del premio Nobel a favore dei disabili. Anche nel nuovo lavoro c’è tanto di lei.
«Il teatro a disegni di Dario Fo con Franca Rame» (Scalpendi editore, pagg. 144 più dvd, 25 euro), curato da Andrea Balzola e Marisa Pizza e accompagnato da un video di Giuseppe Baresi (una intervista-dialogo e una visita-lezione di Fo all’Accademia di Brera), è di fatto la prima pubblicazione di una parte dell’archivio Rame-Fo, che si appresta a diventare multimediale mettendo a disposizione tutti i materiali: filmati, copioni, disegni e dipinti, scenografie, costumi. Un progetto, questo, a cui teneva moltissimo Franca, che tra i due si è sempre ironicamente dichiarata il braccio che lavorava per contenere, redigere, testimoniare, tramandare il genio del marito (ma chi l’ha conosciuta sa che non era solo così…). In particolare questo nuovo volume fa luce sullo storyboard teatrale, ovvero la progettazione degli spettacoli con sequenze di disegni: i costumi e le scene, ma anche la regia e le azioni dei personaggi.
Una parentesi: questa intervista è stata fatta prima della conferenza stampa del Premio Chiara in cui è stato annunciato che Dario Fo declina il Premio Chiara alla carriera, perché dice che dopo il Nobel non vuole altri premi. Ai tanti commenti usciti aggiungiamo solo una riflessione: per vent’anni la Provincia, che sostiene economicamente il concorso, è stata guidata dalla Lega e su Fo c’era un veto, non ufficiale ma fermo. Ora che finalmente questo veto è decaduto, ci sta che Fo non senta tutto questo entusiasmo: forse il primo Premio Chiara alla carriera, nel 1989, il secondo, il terzo, il quinto andavano assegnati a lui... Non certo il 28esimo, a 90 anni e un Nobel, come se Dario Fo per Varese fosse un intellettuale come tanti altri... Chiusa parentesi, torniamo all’intervista.
Dario come è nato questo nuovo libro?
«È una testimonianza del nostro lavoro che parte dalle origini. Quando io entrai in teatro la prima persona valida e determinata per la mia vita che incontrai fu Franca. Lei veniva da una famiglia di teatranti dell’arte (che ha lavorato per tanti anni anche a Varese, ndr), dove non c’era bisogno di sgomitare per lavorare ed era delusa dall’ambiente di allora. Io venivo dalla pittura e dall’architettura, ma avevo lasciato l’accademia di Brera perché volevo trovare un altro modo di vivere la vita. Eravamo spugne, assorbivamo tutto il bello di quei tempi: il Piccolo di Strehler e Paolo Grassi a Milano, Brecht in Germania, la Nouvelle Vague in Francia. Questo libro racconta questo nostro percorso che Franca si è sempre preoccupata di testimoniare con l’archivio che curava personalmente: è stata proprio lei a decretare chi, cioè gli autori del libro, dovesse proseguire il lavoro dell’archivio».
È vero che sta per recitare in un film?
«Sì, la storia del pugile di etnia sinti Johann Rukelie Trollman, che io ho appena raccontato nel libro Razza di Zingaro, diventerà un film e io interpreterò la parte del vecchio allenatore».
Dario, lei ha sempre avuto autorevolezza, non aveva bisogno del Nobel o di compiere 90 anni: come fa?
«Ho sempre pensato e detto: finché avrò delle idee io riesco a stare in piedi. Ho delle idee. Le idee nascono e poi bisogna coltivarle, curarle, esprimerle, farle vivere. Io lo faccio con il teatro, con la pittura, con la parola scrivendo i testi».
Dia un consiglio anche a noi…
«Io sono teatrante, pittore, ma ho anche imparato a scrivere canzoni, musica. Imparare è sempre stata la molla che mi ha spinto in avanti. Imparare per dare qualcosa agli altri e non per avere successo o soldi. Così deve essere, anche in politica: bisogna dare non prendere, sennò poi arriva il gong che mette termine a tutto».
Come festeggerà i suoi 90 anni il 24 marzo?
«Ancora non lo so, ma saranno almeno tre compleanni! Uno sarà con Jacopo e uno al Piccolo teatro, la mia casa di attore».
Guardandosi indietro qual è la prima immagine che associa a Varese?
«La mia prima passeggiata sulla montagna sacra di Varese, un luogo mistico e teatrale, dove le cappelle raccontano la Passione di Cristo come in una festa popolare, che già nel 1500, quando furono costruite, richiamava migliaia di persone».
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