L’ANGOSCIA
«Non so ancora come è morto mio figlio»
L’inchiesta è stata archiviata come suicidio, ma sono troppi gli interrogativi aperti: la madre ottiene l’apertura di una causa civile
«Stavo tornando a casa. Ricevo una chiamata sul telefonino e mi dicono senza preamboli che Nicola si è suicidato. Si è buttato dalla finestra». Una telefonata così, non si augura nemmeno al proprio peggior nemico. Purtroppo, quella chiamata lei l’ha ricevuta. Carla De Bernardi è la mamma di Nicola Maurelli, l’imprenditore milanese di 38 anni, ospite della comunità terapeutica Crest di Cuveglio, trovato morto l’11 marzo 2013 in circostanze sospette. A dire il vero l’ex gip di Varese Stefano Sala non ebbe alcuna esitazione e dispose l’archiviazione del caso. Fu suicidio. Il perito della famiglia, l’anatomopatologa Cristina Cattaneo, contrastò questa ricostruzione. E ora la mamma di Nicola non ne vuole sapere di arrendersi, anche perché «ancora oggi non so come è morto mio figlio». Un figlio a cui «mancavano poche settimane per ritornare a casa», dopo oltre un anno e mezzo trascorso in quella comunità dai «metodi sin troppo duri e punitivi», dove era entrato spontaneamente per uscire dal tunnel della droga, e che «non mi aveva mai manifestato propositi suicidi». Per questo, dopo che il filone penale è giunto a un binario morto, la signora Carla ha chiesto e ottenuto al Tribunale di Milano l’apertura di una causa civile in cui si chiede conto tanto al presidente e all’amministratore delegato, quanto al personale medico e paramedico del Crest, della presunta carenza di vigilanza rispetto alla tragica fine di suo figlio. Per la cronaca, la prima udienza del procedimento civile è fissata al prossimo 17 ottobre. «Lo scriva pure: non cerco colpevoli, ma solo la verità e spero che qualcuno che sa abbia il coraggio di farsi avanti e mi contatti», insiste Carla De Bernardi.
«Le racconto un episodio che dovrebbe far riflettere: un operatore sanitario della comunità dopo la morte di Nicola fu mandato in vacanza per un paio di settimane. Quando lo sentii, tempo dopo, mi disse: non le posso dire niente, io voglio tenere il posto…. In questa storia sono state dette troppe bugie. Anzi, diciamo pure che è stato un iter di menzogne», va giù tranchant la signora. «Prima hanno detto che Nicola si è buttato dalla finestra del bagno; peccato che da quella bocca di lupo non ci passa nemmeno un gatto. Quindi, ha preso piede una seconda versione: a detta di un testimone, che per altro ha solo udito il tonfo, mio figlio è caduto dal tetto. A questo proposito, il nostro perito ha accertato che per uscire dalla finestra velux che dà sul tetto (dove alcuni effettivamente salivano per fumarsi una sigaretta, ndr) non ce la si può fare da soli, ma bisogna salire su una sedia e farsi aiutare da qualcuno che la tenga ferma. Tra l’altro, in quei giorni Nicola soffriva di un fortissimo mal di schiena. E allora viene da chiedersi com’è andata veramente? Infine, ci hanno detto che da mesi mio figlio si voleva suicidare: se così fosse, perché non ci hanno avvisato nei colloqui e non lo hanno vigilato affinché questo non succedesse?».
Sono tante, e legittime, le domande della mamma di Nicola.
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